Giorgio Giorgetti, Macchina del Tempo, marzo 2004 (n.3), 28 febbraio 2004
Che il Settecento sia stato fulcro di sconvolgimenti umani e sociali è un dato di fatto. Ma che avesse messo lo zampino anche nella rivoluzione informatica è meno scontato
Che il Settecento sia stato fulcro di sconvolgimenti umani e sociali è un dato di fatto. Ma che avesse messo lo zampino anche nella rivoluzione informatica è meno scontato. Le prime avvisaglie, però, nascono almeno un secolo prima, a opera di due filosofi-scienziati, il francese Blaise Pascal (1623-1662) e il tedesco Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716). Il primo aveva soltanto 19 anni quando, per aiutare il padre a far di conto, inventò una vera e propria calcolatrice (nella foto a sinistra). Una manovella faceva girare una serie d’ingranaggi: sui denti del primo erano incise le unità (da 0 a 9), su quelli del secondo le decine e così via. Poteva operare solo addizioni e sottrazioni, ma, come conferma Carla Petrocelli, docente di Storia dell’Informatica e Informatica Generale all’Università di Bari, «l’unità aritmetico-logica dei nostri calcolatori è progettata sul medesimo principio, con l’unica differenza che le ruote dentate sono rimpiazzate da circuiti elettrici». Leibniz, invece, fu il padre della rappresentazione binaria dei numeri (0 e 1): il colpo di genio, però, cadde nel vuoto e fu riscoperto soltanto nel 1847 da George Boole. Due veri figli dell’Illuminismo furono il telaio di Joseph-Marie Jacquard (1752-1834) che, per automatizzare la tessitura di stoffe, inventò le schede perforate, e la prima calcolatrice commerciale di Charles Xavier Thomas (1785-1870), «progettata in modo da poter esser costruita in piccola serie proprio dalle nuove macchine utensili, perfezionate con la rivoluzione industriale» afferma Carla Petrocelli.