Aristide Malnati, Macchina del Tempo, marzo 2004 (n.3), 28 febbraio 2004
Le piramidi, enigmatici e maestosi monumenti che attraversano la storia di una delle più antiche civiltà, hanno da sempre affascinato archeologi e studiosi, ma anche gli pseudostudiosi pronti a cercare interpretazioni esoteriche della loro esistenza
Le piramidi, enigmatici e maestosi monumenti che attraversano la storia di una delle più antiche civiltà, hanno da sempre affascinato archeologi e studiosi, ma anche gli pseudostudiosi pronti a cercare interpretazioni esoteriche della loro esistenza. Così non è difficile imbattersi in trattati che sostengono che le dimensioni della grande piramide di Cheope (230,5 m di base per 146,7 m di altezza) sarebbero un modello in scala 1:43.200 dell’emisfero boreale del mondo, o che la disposizione delle tre piramidi di Giza (dedicate ai sovrani Cheope, Chefren e Micerino) corrisponderebbe alla posizione in cui si trovava la parte centrale (la cintura) della costellazione di Orione circa 10.500 anni fa: ben 6.000 anni prima della data nella quale, secondo gli storici, sarebbero vissuti i tre faraoni della IV dinastia. Da queste misteriose incongruenze alle azzardate teorie che vorrebbero attribuire a civiltà aliene la costruzione di queste gigantesche strutture il passo è breve. Eppure, è ormai da decenni che gli egittologi hanno provato che queste figure in pietra, dalla forma semplice e perfetta, sono fenomeni interni alla cultura egizia e non sono altro che sepolture regie. Estrapolare le tre costruzioni di Giza risulta un’operazione arbitraria proprio perché non tiene conto del fatto che esse fanno parte di un contesto molto più ampio. Le piramidi oggi conosciute sono infatti 110, non corrispondono a nessuna serie di costellazioni e la loro forma è il risultato di successivi passaggi storici che partono dalla sepoltura in tombe ipogee, cioè scavate nella roccia o nel terreno, passando per le mastabe, fosse ricoperte da un terrapieno, fino alle piramidi a gradoni e alle vere e proprie piramidi, che quando furono costruite erano uniformi, lisce in quanto ”intonacate” con materiale sottile e dipinte. Recenti scoperte nella vasta necropoli che si estende da nord a sud, per quasi 50 km, alla periferia occidentale cairota hanno permesso agli studiosi di portare nuova linfa alla convinzione, oramai non più contestabile, che le piramidi sono sepolture di molti dei faraoni dell’Antico Regno, delle loro regine e di parte della loro prole e che sono comprese in una vasta area sepolcrale insieme a mastabe, tombe ipogee e semplici fosse appartenenti ad altri personaggi di minore importanza (dallo scriba al macellaio del re). Zone sacre nelle quali si trovano anche templi dedicati agli dei o agli stessi faraoni. Addentriamoci dunque alla scoperta dei più recenti rinvenimenti che mostrano una volta per tutte l’origine egizia e la natura funeraria di questi straordinari monumenti millenari. Nella zona di Giza, vasta area alla periferia ovest del Cairo nella quale sorgono le tre piramidi più conosciute, sono venuti alla luce nuovi elementi legati alla natura funeraria di tutta la zona. Zahi Hawass, segretario generale del Consiglio Superiore delle Antichità e direttore degli scavi a Giza, ha recentemente rinvenuto il luogo dove simbolicamente sarebbe stato sepolto Osiride, il dio degli inferi. Si tratta di un pozzo profondo 25 metri, a tre livelli, distante meno di 300 metri dalla grande piramide di Cheope. Nel livello più basso si trova una stanza piena d’acqua e al centro di questa vi sono i resti di 4 colonne con un sarcofago di granito. La mitologia egizia racconta che Osiride viveva nell’acqua, elemento che costituiva gran parte del regno dei morti. E lo storico greco Erodoto (V secolo a. C.), nella descrizione che dà dell’antico Egitto nel libro II delle ”Storie”, narra che «il faraone Cheope fece costruire la sua piramide come su un’isola, dopo avervi introdotto l’acqua con un canale derivato dal Nilo». Inoltre sappiamo che Cheope scelse Osiride per proteggere la propria vita ultraterrena e più in generale l’intera necropoli di Giza. E se allora fosse proprio questa la tomba di Cheope, forse collegata alla sua piramide con cunicoli fino ad ora segreti? All’interno della grande piramide, infatti, la presunta camera sepolcrale è stata trovata vuota e non è impossibile pensare che il faraone avesse previsto di confondere i saccheggiatori di tombe progettando la sua vera camera sepolcrale collegata ma esterna. è quanto promette di svelare Hawass, ormai perfettamente in simbiosi con il luogo dove da millenni riposano i grandi d’Egitto, le loro corti e il loro popolo. Sempre a proposito delle ricerche sulla piramide di Cheope, risale a un anno e mezzo fa il tentativo, riuscito, di perforare lo sbarramento alla fine di un cunicolo collegato con il corridoio che all’interno della piramide porta alla stanza funeraria. Al di là della piccola porta, però, si è palesato un nuovo sbarramento con degli strani grafemi incisi sul muro a fianco: «Cercheremo di decifrarli» promette Hawass. «Se si scoprisse che sono imparentati con i geroglifici avremmo un’ulteriore conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che le piramidi sono opera degli egizi. Infatti questi segni sul muro sono stati fatti in corso d’opera, durante la costruzione della struttura piramidale, e se dunque sono geroglifici solo gli egizi potevano farli». I lavori continueranno presto: sta per essere approntato un altro piccolo robot che dovrà fotografare le incisioni tra le due porte e possibilmente creare un varco nella seconda porta per vedere cosa vi sia oltre. Ma le ricerche di Zahi Hawass non si sono fermate qui. Sempre nella necropoli di Giza il professore egiziano e la sua équipe poche settimane fa hanno scoperto una nuova sepoltura, non una piramide ma una tomba ipogea: apparteneva a un personaggio di nome Kai. All’interno è stata recuperata la mummia ancora perfettamente conservata e avvolta nel suo scuro bendaggio; accanto al sarcofago, nella parte più recondita della struttura funeraria, alcuni bassorilievi mostrano Kai nel gesto tenero e insieme erotico di baciare sua moglie. Ma chi era Kai? Per una volta la nostra curiosità viene soddisfatta: una stele con un testo in geroglifico lo indica come un sacerdote di alto rango e lo scritto così continua: «Io, Kai, mi sono avvalso del lavoro di operai e di architetti egizi per farmi costruire la tomba. Li ho pagati con pane e birra e loro hanno mostrato di essere rimasti soddisfatti». Una statua del sacerdote stesso e oggetti in ceramica a uso culinario completavano il corredo funebre e nella vita ultraterrena garantivano lusso e comodità al defunto. All’interno della struttura funeraria si è trovata infine una stanza più piccola: è la sede per la vita eterna della famiglia di Kai, con ancora gli scheletri della moglie e di una figlia. Spostandoci una ventina di chilometri più a sud, nella zona di Saqqara, altre recenti scoperte ci consentono di ammirare quello che resta della piramide di Ankhesenpepi, madre e sposa di sovrani della VI dinastia (2200 a. C.) e forse a sua volta prima donna faraone. La splendida regina è stata resuscitata da un’équipe di archeologi francesi. La camera funeraria della sua piramide, coperta da 15 metri di detriti e protetta da una stele in granito nero di 17 tonnellate, è stata violata. Il ritrovamento ha comunque un valore incommensurabile: i geroglifici della camera funeraria dov’era sepolta la regina sono parte dei famosi testi delle piramidi, proprio come nell’adiacente sepoltura del marito Pepi I: «Questo ha un significato ben preciso» assicura Audran Labrousse, direttore degli scavi francesi, «tutto ciò significa infatti che Ankhesenpepi ebbe precisa volontà di farsi equiparare in potere e prestigio al marito faraone. E quando egli morì sedusse suo nipote Merenra I ed ebbe da lui un figlio, Pepi II, con cui condivise il trono in una coreggenza che durò fino alla sua dipartita». In alcune iscrizioni si dice che la giovane e bella regina esercitasse il comando con il marito e che fosse insignita come lui di qualità supreme, di doti che solo il faraone, dio in terra, poteva avere: resuscitare e dare la vita. Altre regine avrebbero avuto simili poteri, forse anche superiori, come Hatshepsut, ma tutte vennero più tardi, con condizioni sociali e politiche profondamente mutate. Altra tomba a forma di piccola piramide rinvenuta, sempre da un gruppo di studiosi transalpini, non distante da quella di Ankhesenpepi, appartiene a Mehaa. Questa era probabilmente la sposa di uno dei faraoni della VI dinastia, forse una delle consorti di Pepi I, sepolto nella stessa area. La piramide, trovata sotto metri di detriti e priva di vertice, non presenta particolari segni all’interno della stanza sepolcrale: questo ci permette di capire come Mehaa fosse una normale regina, che non ha mai esercitato funzioni politiche ma che ha sempre svolto il suo ruolo di moglie e di madre. Facendo però parte della famiglia regia, si meritò una sepoltura piramidale a differenza delle altre donne di corte, interrate in tombe ipogee, numerose nella zona. Proprio a Saqqara, infatti, si trovano alcune delle tombe ipogee meglio affrescate, che nella struttura richiamano quelle di Tebe Ovest destinate a faraoni, regine e nobili del Nuovo Regno (II e I millennio a. C.). Qui, alla periferia del Cairo, non si può non ricordare la splendida tomba di Maya, tesoriere di Tutankhamon (1350 a. C. circa), con affreschi che ne ricordano la vita e che riportano brani del libro dei morti, la bibbia degli antichi egizi. Le piramidi comunque non finiscono mai di essere riportate alla luce: è quanto avvenuto recentemente ad Abu Rawash, a nord di Giza (dunque sempre nella stessa area cimiteriale), dove la missione dell’Università di Ginevra e dell’Istituto Francese di Archeologia Orientale, diretta da Michel Valloggia, ha ritrovato i resti di una piramide di una regina sposa di Gedefra, figlio di Cheope. Ad Abu Rawash è sita la piramide di Gedefra ed è in questo immenso e ancora ben conservato complesso funerario che da 8 anni opera la missione diretta da Valloggia: «Nella campagna che abbiamo appena concluso» precisa l’archeologo svizzero «abbiamo scavato all’altezza dell’angolo sud-est del muro di cinta dell’area sacra appartenente alla piramide di Gedefra. Un giorno, ecco la grande sorpresa: i nostri operai hanno notato una piccola protuberanza che affiorava dal terreno. Ci siamo concentrati in quel punto e dopo alcuni giorni di scavo abbiamo capito che era il vertice di una nuova piramide». La piramide numero 110, che giorno dopo giorno si precisava sempre più chiaramente. All’interno sono stati trovati elementi legati al culto, un pozzo ancora intatto, due magazzini per le offerte per la vita ultraterrena della defunta e naturalmente la camera mortuaria. In essa il rinvenimento più considerevole: un sarcofago in granito con il proprio coperchio. Doveva contenere la mummia della regina che però non è stata ritrovata, in quanto probabilmente trafugata da antichi cercatori di tesori. «La piramide dà l’impressione di non essere stata completata» precisa Valloggia «infatti ha un aspetto rozzo con gradoni non del tutto rifiniti». Comunque gli elementi ritrovati sono abbondanti e di straordinario peso per la storia della IV dinastia: sul sarcofago, per esempio, si legge bene la dedica alla regina Hetepheres, madre di Cheope e dunque capostipite di tutta la famiglia. Gli scavi proseguiranno con la speranza di rinvenire altri elementi funerari e soprattutto delle barche solari, le grandi costruzioni che, poste accanto alle piramidi, dovevano consentire all’anima del defunto di raggiungere il regno dei morti. «Si tratta comunque di una scoperta di notevole portata» puntualizza Stefania Sofra, egittologa dell’Università La Sapienza di Roma, «proprio perché conferma che le piramidi erano sepolture regie e che attorno a quella principale, che ospitava il faraone, gravitavano quelle degli altri membri della famiglia. Erano insomma le tombe dei sovrani dell’Antico Regno (III millennio a. C.) e sono tutte spiegabili all’interno della civiltà egizia, senza dover ricorrere a interpretazioni esoteriche e strampalate». Stabilito dunque che la costruzione piramidale ha una simile origine, è opportuno porsi domande sulla sua genesi e sul suo significato. Tutti gli egittologi sono concordi nell’affermare che la forma della piramide è una derivazione della mastaba, il terrapieno che già prima dell’inizio della storia egizia, che può farsi risalire all’avvento delle dinastie, nel 3000 a. C., copriva una semplice fossa sepolcrale. è sovrapponendo più terrapieni di grandezza decrescente che l’architetto Imhotep nel 2650 a. C. (III dinastia) ha ottenuto la piramide a gradoni commissionatagli dal faraone Djoser (vedi spaccato nelle pagine precedenti), che esigeva una sepoltura ben visibile e ammirabile da lontano. «L’uso di questa forma» precisa Stefania Sofra «simboleggia inoltre il Nun, cioè la collina primordiale che, secondo la mitologia egizia, fu il primo lembo di terra a uscire dal Nilo. La piramide egizia quindi è indissolubilmente legata alla mitologia degli antichi abitanti di quella terra». Le piramidi pongono ancora alcune questioni irrisolte, come quella sulle tecniche usate per erigerle, ma sul loro significato oramai non ci sono più dubbi: questi giganteschi monumenti, e su questo tutti gli egittologi concordano, sono parte integrante della più vasta necropoli della storia dell’umanità. Le stelle, insomma, non c’entrano. Aristide Malnati