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 2004  gennaio 23 Venerdì calendario

QUINO (Joaquín Lavado) Mendoza (Argentina) 17 luglio 1932. Illustratore • «Chissà se la piccola Mafalda, formidabile icona della ribellione giovanile creata da Quino 40 anni fa, scruterebbe ancora il mappamondo per angosciarsi e strepitare di rabbia non potendo raddrizzare i torti planetari? Oggi, forse, smanetterebbe sul telecomando fra Cnn, Al Jazira e Bbc, strillando nel fumetto contro quella ridda d’immagini (vere, false, manipolate?) capaci di confondere ogni velleità alternativa

QUINO (Joaquín Lavado) Mendoza (Argentina) 17 luglio 1932. Illustratore • «Chissà se la piccola Mafalda, formidabile icona della ribellione giovanile creata da Quino 40 anni fa, scruterebbe ancora il mappamondo per angosciarsi e strepitare di rabbia non potendo raddrizzare i torti planetari? Oggi, forse, smanetterebbe sul telecomando fra Cnn, Al Jazira e Bbc, strillando nel fumetto contro quella ridda d’immagini (vere, false, manipolate?) capaci di confondere ogni velleità alternativa. Quando Quino, classe 1932, era ancora il bambino Joaquín Lavado della provincia argentina di Mendoza, il mappamondo sostituiva il focolare: ”Grazie a quel globo girevole, mi pareva di crescere nel Mediterraneo, anziché sotto le Ande. I miei genitori erano repubblicani spagnoli; ascoltavano tutte le radio per seguire la nostra guerra civile e poi il conflitto mondiale, notizie che verificavano su quel mappamondo che sarebbe finito nelle strisce di Mafalda” [...] Dato che Quino abbandonò la sua eroina nel 1973, va ricordato che la bimbetta di Buenos Aires fu considerata negli anni Sessanta la risposta sudamericana ai Peanuts di Schulz: mentre questi erano assillati da pene esistenziali, tic e nevrosi, Mafalda era una piccola peste politica, al punto che Umberto Eco, autore della prefazione al primo albo Bompiani, scrisse: ”Charlie Brown ha letto evidentemente i revisionisti freudiani e va alla ricerca di un’armonia perduta; Mafalda ha letto il Che e Mao Tse Tung”. Come una sentinella della rivoluzione, la ”sovversiva” esercita un ferreo controllo sui mass media. Superinformata di quanto avviene nelle zone calde, inventa soluzioni comico-surreali per risolvere le crisi, in perenne dialettica con gli amichetti Susanita, borghese che sogna solo famiglia, sesso e maternità, Manolito, attaccatissimo al denaro, e Felipe, timido utopista; per non parlare del conflitto con la mamma per via dell’aborrita minestra. Mafalda, insomma, fu un emblema della contestazione, effigiata sui muri delle università occupate, ma non è figlia del ”68, essendo nata quattro anni prima. ”Mafalda è solo figlia del mio ambiente familiare - precisa Quino -. E in particolare di mia nonna comunista, che mi strapazzava perché amavo il cinema musicale americano (Bing Crosby, Sinatra). La nonna mi cancellava le illusioni, ricordandomi che in Spagna c’era Franco, in Portogallo Salazar, in Grecia i colonnelli, in Cile Pinochet con il sostegno degli americani che a loro volta facevano macelli in Vietnam. Eppure ci fu un momento, nei tardi anni Sessanta, in cui pareva che tutto potesse cambiare in meglio. La musica dei Beatles era l’emblema di quella speranza e io risentivo di quell’ottimismo: gli stessi furori di Mafalda erano voglia di cambiamento. Ora potrebbe essere un’ecologista o una no global”. [...] La storia personale, familiare e politica di Quino non lascia dubbi circa le sue idee di sinistra. Eppure, nel 1973, abbandonò la piccola peste e con lei le strip per dedicarsi alla vignetta, dove ”lo schema è meno rigido e può meglio ospitare le sfumature”, magari guardando oltre l’impegno politico e lasciando più spazio all’ironia. ”Anche nelle strisce di Mafalda affiora il sorriso. La sua contestazione è tutta ironia. Teniamo presente che è sempre una bambina, capace d’inventarsi che il governo ha vietato l’odiata minestra e di abbozzare di fronte alla replica della mamma (’Pur di nutrirti, tesoro, userò il ricettario del Che sulla minestra clandestina’). Il mio scopo non è indignare ma far pensare sorridendo, per chi ci riesce. In una strip, per esempio, feci dire a Mafalda: ”Perché quel cretino di Castro non dice che la minestra è buona, così qui la tolgono subito?’: ebbene, a Cuba mi chiesero perché mai avessi usato la parola ”cretino’. La battuta era diretta contro gli argentini e non contro Fidel, ma i regimi autoritari sono sempre ottusi. Lo stesso Castro una volta, alla mia domanda: ”Perché non si fanno vignette contro di te?’, rispose ”Fai tutto quello che vuoi purché non mi fai la controrivoluzione. Sennò, ti sbatto dentro’”. Negli ultimi tempi Quino produce vignette di sapore esistenziale, a volte crudeli (la barella che entra in sala operatoria, sulla cui porta è scritto ”errare humanum est”), a volte surreali (la straordinaria serie sulla morte), dov’è facile leggere in controluce il retaggio della grande cultura sudamericana. ”Ho amato gli scrittori cubani - confessa -. E poi Amado, García Márquez, anche se a un certo punto il realismo magico mi ha rotto l’anima. Borges mi annoiava, finché non ho compreso lo straordinario senso dell’umorismo che sta dietro le sue invenzioni e i suoi giochi letterari, un umorismo paradossale che ha influenzato il dopo Mafalda”. Quino racconta di avere avuto l’adolescenza segnata dai rituali argentini della morte: ”La disgrazia di portare sempre un segno di lutto fra i 10 e i 17 anni, per la morte di nonna, mamma e papà. Un anno con il bottone, uno con il bracciale, uno con la cravatta neri, la porta di casa socchiusa, la radio senza musica. Mi è rimasta l’idea che i morti continuino a vivere accanto a noi. Talvolta mi capita di parlare con loro o di sentire un soffio accanto a me e chiedermi ”chi sarà?’. Li sento vicini: l’altro giorno ho visto papà sul balcone, che fumava, lui che non doveva fumare, ma disobbediva. Non so se ho visto cose vere o miraggi; ma credo che i confini del reale siano incerti, molto incerti...”. Dopo aver creato Mafalda, nipote di Guevara e mamma dei no global, Quino appare sempre più borgesiano, come nella più surreale delle sue strip, dove la morte piomba con la falce su di un letto d’ospedale, si azzuffa con il malato e infine visita la sua tomba trascinando una carrozzina, essendo rimasta incinta nell’estrema colluttazione: una vita concepita chissà come in grembo alla morte, che suona come un messaggio di speranza» (Cesare Medail, ”Corriere della Sera” 16/1/2004).