varie, 18 ottobre 2003
Tags : Nives Meroi
MEROI Nives Bergamo 17 settembre 1961. Alpinista. Alpinista. Ha scalato dieci dei quattordici Ottomila esistenti: Nanga Parbat (8125 m, nel 1998, prima italiana, lungo la via Kinshofer sulla parete Diamir); Shisha Pangma (8013 m) e Cho Oyu (8135 m) in sequenza (99); Gasherbrum II (8035 m), Gasherbrum I (8068 m), Broad Peak (8047 m) tutti in sequenza e in soli venti giorni nel 2003; Lhotse (8511 m) nel 2004); Dhaulagiri (17 maggio 2006), K2 (27 luglio 2006), Everest (17 maggio 2007) • Impegnata in una gara con l’austriaca Gerlinde Kaltenbrunner (11 Ottomila) e la spagnola Edurne Pasaban (10), nel 2008 ha fallito la prima salita invernale del Makalu (8
MEROI Nives Bergamo 17 settembre 1961. Alpinista. Alpinista. Ha scalato dieci dei quattordici Ottomila esistenti: Nanga Parbat (8125 m, nel 1998, prima italiana, lungo la via Kinshofer sulla parete Diamir); Shisha Pangma (8013 m) e Cho Oyu (8135 m) in sequenza (99); Gasherbrum II (8035 m), Gasherbrum I (8068 m), Broad Peak (8047 m) tutti in sequenza e in soli venti giorni nel 2003; Lhotse (8511 m) nel 2004); Dhaulagiri (17 maggio 2006), K2 (27 luglio 2006), Everest (17 maggio 2007) • Impegnata in una gara con l’austriaca Gerlinde Kaltenbrunner (11 Ottomila) e la spagnola Edurne Pasaban (10), nel 2008 ha fallito la prima salita invernale del Makalu (8.481 m.) e durante la discesa nella bufera si è fratturata la gamba destra • «La piramide pachistana del K2 era il suo sogno, la montagna più tosta. Quella che aveva attaccato all’esordio sugli Ottomila nel ”94 col marito Romano Benet, e che l’aveva messa in ginocchio dopo aver aperto una via in parte nuova sul versante Nordovest. In cima non c’erano arrivati, lei e Romano. A 150 metri dalla vetta avevano dovuto piegare la testa e accettare l’incrocio di braccia dell’Ottomila più spietato e fare dietrofront. Nives Meroi [...] ci aveva riprovato nel 2004, lungo la Nord, gettando la spugna a 7000 metri per le pessime condizioni climatiche. [...] Chi la dura la vince. E vinta da Nives è la prima posizione nella classifica delle alpiniste viventi più alte al mondo, con nove dei 14 Ottomila saliti: Nanga Parbat 8125 m lungo la via Kinshofer sulla parete Diamir (prima italiana, ”98); Shisha Pangma 8013 m e Cho Oyu 8135 m in sequenza (’99). In sequenza e in soli 20 giorni (unica donna a farlo): Gasherbrum II 8035 m, Gasherbrum I 8068 m, Broad Peak 8047 m (2003); Lhotse 8511 m (2004); Dhaulagiri (17 maggio 2006) e K2 (prima italiana). Con altrettanti nove Ottomila, si affianca l’austriaca Gerlinde Kaltenbrunner, a cui il K2 non ha ancora detto sì» (Antonella Cicogna, ”La Gazzetta dello Sport”, 27/7/2006). «La donna che accarezza le montagne guarda il cielo blu, verso le sue Alpi di confine, dove tutto è cominciato tanti anni fa. ”Quando si è a ottomila metri, e per miracolo non ci sono nuvole, si ha una visuale sterminata: si comincia ad intravedere la curvatura della terra. E si provano sensazioni che ti scavano dentro. Diciamo che è terapeutico perché si vive in modo estremamente essenziale, ci si sposta lentamente e si riacquista l’attenzione ai particolari. La scalata mette in ordine tanti valori, fisici ma anche interiori e impari a conoscere te stesso”. La via italiana all’alpinismo, pronta a ripercorrere la strada maestra battuta cinquant’anni fa, passa anche attraverso una donna graziosa e minuta, ma soprattutto tenace e profonda. Tarvisiana, capace per ben sei volte di raggiungere la cima di un ”Ottomila”. [...] ”La prima volta che siamo stati sul K2 abbiamo provato una via parzialmente nuova, sempre sul versante nord. Ma era una strada cieca, che si fermava a 150 metri dalla vetta. La mia reazione? Diciamo che è stata molto poco signorile…”. Nives parla al plurale perché con lei da più di vent’anni c’è il marito Romano Benet. ”Propormi assieme a lui mi ha aiutato almeno inizialmente ad avere meno problemi di inserimento: l’alpinismo himalayano è una disciplina prettamente maschile e il fatto di far parte di una coppia è stato fondamentale per non essere considerata un semplice elemento decorativo. Adesso però Romano rischia di essere trattato come il ’principe consorte’... La verità, comunque, è che un gruppo di alpinisti professionali non è mai diviso in gregari e prime donne”. Primadonna Nives non può non esserlo. Con gli anni il suo è diventato un nome d’eccellenza nell’alpinismo mondiale. L’ultima impresa, quest’estate. [...] Al K2 la Meroi è particolarmente legata. ” la montagna più tecnica, dove le difficoltà alpinistiche sono maggiori. Certo c’è l’Everest, che è più alto, ma ormai è inflazionato di ’alpinisti della domenica’ che non solo salgono con le bombole di ossigeno, ma se le fanno pure trasportare. Detto questo, è naturale che il K2 sia per l’Italia qualcosa di importante: la spedizione del ”54 rimane un trampolino di lancio fondamentale. Negli anni si è dimostrato che esiste una via italiana all’alpinismo, magari coi suoi limiti, ma con la fantasia giusta per rinnovarsi e rimanere sempre viva”. [...] L’arrivo in cima è solo una parte della spedizione. Prima c’è un lavoro atletico fatto di arrampicate e di esercizi fisici: insomma un continuo misurarsi con se stessi e il proprio corpo. Naturalmente ogni ascesa è fatta seguendo ’lo stile alpino’: attrezzatura essenziale e niente ossigeno. Quando ne sento la necessità uso le corde fisse: non sarebbe considerato da ’puristi’, ma è vero anche che la regola forse è troppo rigida”. Nives ha lo sguardo inquieto, ma sereno. [...] ”Col tempo si prende familiarità anche con questo tipo di esperienza, nella quale comunque l’aspetto psicologico è decisivo. Ogni scalata infatti è diversa dall’altra e quindi non c’è il rischio di sottovalutarla. Essere l’unica donna poi mi responsabilizza di più, per cui la soglia di attenzione rimane sempre molto alta. Credo che la componente femminile in una spedizione sia essenziale: c’è una diversa sensibilità nei rapporti con le persone che incontriamo e nella cura di certi dettagli”. [...] Una donna che si arrampica sugli Ottomila, dentro di sé ha qualcosa in più. Una molla che la spinge. ”Quello che faccio lo vivo tutto sommato come un gioco, ma come lo intendeva Nietzsche: lo affronto quindi con la stessa enorme serietà con cui lo affrontano i bambini. Vivere in funzione della partenza e della spedizione è senz’altro una fuga continua dalle responsabilità, dalle giornate tutte uguali. In fondo siamo dei Peter Pan, magari un po’ disadattati, chissà, e giriamo il mondo come sognavamo di fare da piccoli. Ma diciamo sempre che domani metteremo la testa a posto”» (Paolo Tomaselli, ”Corriere della Sera” 18/10/2003).