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 2003  ottobre 10 Venerdì calendario

RUSPOLI Sforza Roma 23 gennaio 1927. Meglio noto come Lillio. "Il Principe-contadino [...] un estroso e fantastico ”evergreen” della micropolitica, un classico ”old boy”, un veterano cioè dell’impegno velleitario contro la degenerazione pubblica, con sortite ormai cicliche, sempre in nome di una pervicace utopia anti-modernista

RUSPOLI Sforza Roma 23 gennaio 1927. Meglio noto come Lillio. "Il Principe-contadino [...] un estroso e fantastico ”evergreen” della micropolitica, un classico ”old boy”, un veterano cioè dell’impegno velleitario contro la degenerazione pubblica, con sortite ormai cicliche, sempre in nome di una pervicace utopia anti-modernista. Quindi no alle oligarchie finanziarie, no alla mondializzazione, no agli Ogm, ”l’operaio riprenda la vanga” e via di seguito, su posizioni che per la verità Ruspoli propaga da anni alla destra estrema, per lo più inascoltato se non irriso, ma che oggi l’hanno condotto in prossimità di una semplificatissima adesione al movimento no-global. Il che contribuisce a rendere questo patrizio romano che sfila nei cortei con l’inconsapevole Agnoletto ancora più personaggio di quanto sia. E comunque: già nel maggio del 2002, alla presenza del ministro della destra sociale Alemanno - cui evidentemente non dispiacciono certe impostazioni passatistiche - il principe, che è anche un ricco proprietario terriero in Italia e all’estero (Brasile) aveva battezzato un analogo ”Partito della Terra”, con tanto di simbolo recante aratro e croce. Ma poi s’era scoperto che il marchio non solo esisteva già, ma in qualche modo apparteneva già agli allevatori padani, quelli che sparavano letame sulle autostrade, e insomma eccoci al ”Vento del Sud”. Sono incidenti che capitano. Sia oggi che ieri, che l’altroieri, i movimenti ruspoliani fanno comunque leva su un’organizzazione ormai pressoché fantasmatica che il giovane principe fondò nel lontano 1959: i Comitati di Azione Agraria. Questi avevano come simbolo la scopa e i loro attivisti erano così esuberanti che il povero Aldo Moro, nel memoriale compilato nella ”prigione del popolo”, ebbe a ricordarli come ”ostili alla politica del centrosinistra e a ogni politica democratica”. I comitati organizzavano colorite marce di trattori, distribuzioni massive di latte, ma non di rado le loro manifestazioni finivano male. Nelle interessanti schede che illustrano i filmati dell’Istituto Luce (www.archivioluce.com) ce n’è una del 1961, ambientata a Milano, in cui si legge: ”Gli aderenti dei centri di azione sfuggiti alle cariche della polizia si radunano in piazza del Duomo. Tra i presenti il principe Ruspoli con un bernoccolo in testa. Un fotografo gli scatta una foto”. Anni avventurosi. Del 1964 è l’alleanza con Randolfo Pacciardi. Nel 1970 Ruspoli scende a Reggio Calabria per partecipare alla rivolta dei ”Boia Chi Molla”; in seguito la diffidenza nei confronti del msi, partito di mezze calzette, lo porta sia pure su posizioni piuttosto indipendenti non lontano dal Fronte Nazionale di un altro ben più irrequieto aristocratico romano, il Principe Nero Junio Valerio Borghese. Frenesie di nobili, forse. Nobili autentici, in ogni caso, mica il conte Igor Marini. Nell’albero genealogico dei Ruspoli appaiono papi, sante, politici, condottieri (Fabrizio fu a Lepanto) e scialacquatori, naturalmente. Si tratta di una dinastia per certi versi composita, prima papalina, poi savoiarda e a un certo punto rimpinguata dal talento affaristico dei Matarazzo, che non erano aristocratici, ma fecero una immensa fortuna in Brasile. E tuttavia il punto vero è che la figura eccentrica di Lillio rifugge dalle classificazioni nette. Anche oggi si direbbe che in lui si tocchino gli estremi. Per cui Sforza Ruspoli, divenuto a 75 anni un tipico e ormai consumato rappresentante della mondanità televisiva, può teorizzare la teocrazia universale e al tempo stesso ammirare il leader ”sfascia-McDonald’s” José Bové. Oppure dirsi amico personale di Haider e di Le Pen, ma anche di Fausto Bertinotti. Nell’era delle immagini tutto questo crea attorno al principe e alla sua bella moglie Maria Pia, ex miss Palermo e attrice di film un po’ così, un certo interesse, ma anche un’atmosfera decisamente onirica e comunque un po’ straniante. E allora la fantasticheria bucolica-principesca (rivendicata on line anche dai giovani estremisti di Forza Nuova) convive ad esempio con la presenza all’inaugurazione del punto vendita del logo Tod’s, officiante Antonia De Mita; così come l’indimenticabile battibecco con Aldo Busi a Chiambretti c’è suscita lo stesso rilievo della partecipazione alla messa latina in suffragio delle anime degli zuavi pontifici caduti a Porta Pia il 20 settembre del 1870. E questo un po’ perché Lillio ha sempre fatto quello che gli pareva e un altro po’ perché la leggerezza dei tempi lo incoraggia ad alzare e a mischiare la posta: dal commento sullo sceneggiato Soraya all’appello contro l’Islam, dal cocktail con Adelina Tattilo e Marzullo al bar ”Nabila” di Portorotondo alla necessità di concludere la cerimonia di ricordo di Pio IX con l’esecuzione dell’inno pontifico, di quello delle Due Sicilie, della Marcia di Radetzky e di Fratelli d’Italia. E insomma: revanchismi, opportunismi, sincretismi, presenzialismi all’altezza della stagione e in fondo anche del vento. Del Sud, del Nord, del Centro e di traverso" (Filippo Ceccarelli, ”La Stampa” 10/10/2003). "’Capifamiglia di tutta Italia: unitevi!”. Dai divani di palazzo Ruspoli Marescotti, tra ritratti degli avi Ruspoli Marescotti e libri che parlano di Ruspoli Marescotti, sale il grido di battaglia del più nobile fra gli ignobili: Sforza Ruspoli Marescotti. ”Ha scritto Sforza?”. Si, signor principe. ”Mi raccomando: è il nome. Non le dico gli equivoci ogni volta che devo declinare le generalità: ’Nome e cognome?’. ’Sforza Ruspoli’. ’Vabbe’, ma il nome?’. Sforza’. ’Non il cognome, il nome!’. Mi creda: una tortura”. Per questo, per evitar casini, lo chiamano tutti Lillio. Lui stesso, del resto, non tollera il caos. Per questo invoca i capifamiglia. Per chiarezza: ”Ma lei lo capisce un bilancio? Ecco perché il Paese va male: io propongo che ogni bilancio, da quelli dello Stato a quelli della Parmalat, debba essere comprensibile anche agli occhi di chi ha fatto solo le medie. Mi creda: le cose andrebbero meglio”. Ma che c’entrano i capifamiglia? ”Sui temi importanti vorrei fossero fatte delle grandi consultazioni tra i capifamiglia. Sono loro che hanno il polso della situazione”. L’ama, sua eccellenza il principe Sforza Ruspoli Marescotti detto Lillio, la famiglia. E quando parla della sua senti che ci mette la ”F” maiuscola, dorata e damascata. E pure cotonata, recentemente, per via di Maria Pia Giancaro, la bella mugliera dai bei capelli biondi che si è preso in seconde nozze un po’ di anni fa e ha plasmato, parola dopo parola, sorriso dopo sorriso, gambe di taglio dopo gambe di taglio, come Rex Harrison plasmò Audrey Hepburn in My Fair Lady. Ai tempi in cui faceva l’attrice, girando film leggendari come L’amantide o Quando i califfi avevano le corna, dava interviste spaziali: ”Spendo tutto per vestirmi. Porto sempre addosso un numero enorme di indumenti ed accessori. Eppure è tutta fatica sprecata perché quando esco, quando vado in qualunque posto, la gente non è per niente interessata al mio abbigliamento. Mi sembrano tutti delusi. Si aspetterebbero di vedermi girare sempre nuda, come al cinema o nelle fotografie. Sono molto dispiaciuta per la delusione che do ai miei ammiratori ma dovrebbero capire: posso andare sempre in giro svestita?”. Il principe nero la vide, ne restò folgorato, le chiese subito di conoscere il padre, un ferroviere della provincia di Palermo, e gli chiese la mano della figlia. Quello, all’idea di diventare il papà di Cenerentola, poco poco svenne. Rianimatosi, fece al futuro genero un regalo chic: un carrettino siculo in miniatura con le fiancate dipinte con le storie dei pupi, da Geldippe a Guidon Selvaggio. [...] Gonfio di disprezzo per la borghesia e tutti i suoi valori a partire dalla rivoluzione francese (’i borghesi sono i miei nemici”), certo che il buon governo vorrebbe ”la saldatura tra l’aristocrazia e il popolo”, convinto che il problema dell’Italia di oggi siano i ”nuovi feudatari, cioè i Grandi Debitori”, tenace avversario delle banche che strozzano i poveri e tengono in vita le aziende decotte (’Fazio, poveruomo, cerca di evitare i fallimenti ma sbaglia perché, come dicono i veneti, ’xe peso el tacòn che el buso’”), nemico acerrimo della globalizzazione e amico dei contadini (’ha mai visto la mia foto con Bové?”) fin dagli anni Sessanta in cui per primo versò il latte per protesta sui marciapiedi di Roma, fiero di custodire la bucherellata bandiera papalina che svettava a Porta Pia il giorno in cui finì il potere temporale, il mitico Lillio ammette che no, non sono state belle le parole usate a volte dall’Umberto contro il Papa ”extracomunitario” e la Chiesa. Prime fra tutte la sparata: ”Il Vaticano è il nemico che le camicie verdi affogheranno nel water della storia”. [...] In ogni caso, spiega, c’è sempre la conversione: ”Noi Ruspoli Marescotti abbiamo sempre confidato molto nelle conversioni. Quanti ne abbiamo convertiti!”. Soprattutto il fondatore della casata, quel Mario Scoto che combatté i Sassoni per Carlo Magno e nel 782, come ha scritto Galeazzo Ruspoli nella storia della famiglia, mise a ferro e fuoco il villaggio di Verden: ”Ai prigionieri fu detto che potevano scegliere tra farsi battezzare o morire. Per tre giorni interi, dall’alba al tramonto, Carlo Magno con i suoi vassalli e con Mario Scoto, assistette alla carneficina”, spiega Lillio, con un lampo divertito negli occhi, ”Nove su dieci! Quante teste abbiamo tagliato, per la Chiesa! Quante teste!”" (Gian Antonio Stella, ”Corriere della Sera” 4/6/2004).