varie, 26 agosto 2003
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FERRARI Gian Arturo Gallarate (Varese) 4 febbraio 1944. Direttore generale della divisione libri Mondadori, che significa oltre alla casa di Segrate, Einaudi, Sperling & Kupfer, Electa, una grossa fetta della scolastica e alcune importanti partecipazioni internazionali
FERRARI Gian Arturo Gallarate (Varese) 4 febbraio 1944. Direttore generale della divisione libri Mondadori, che significa oltre alla casa di Segrate, Einaudi, Sperling & Kupfer, Electa, una grossa fetta della scolastica e alcune importanti partecipazioni internazionali. «A vent’anni correttore di bozze in Boringhieri, poi editor, direttore editoriale, un biennio in Rizzoli a metà anni Ottanta e in Mondadori a capo dell’area libri, è ora Direttore generale Divisione Libri e manager di un terzo dell’editoria italiana: Mondadori libri, Einaudi, Electa, Sperling, tutta la scolastica del gruppo, una decina di librerie e un centinaio in franchising. Ferrari, la Mondadori berlusconiana... [...]» (Roberto Di Caro, ”L’Espresso” 8/6/2000). « l’uomo più potente dell’editoria italiana e questa posizione gli piace moltissimo. Nei corridoi felpati della Mondadori lo chiamano Il Professore. Letterato e manager, passionale e cinico, colto e smaliziato, dall’alto del suo scranno di direttore divisione libri della Mondadori, dal quale controlla il quaranta per cento del mercato librario italiano (Mondadori, Einaudi, Sperling&Kupfer, Frassinelli, Electa, Piemme), fa il cattivo e non ha paura a smontare uno dopo l’altro i cliché del culturalmente corretto. Ferrari da buon professore dà bacchettate sulle mani a tutti: librai, giornalisti, autori, intellettuali snob. Dicono che la Mondadori non fa cultura ma pensa solo a fare soldi. vero? «Sarebbe un’accusa questa? la tipica forma mentis italiana, dove la frequentazione dei libri è un fenomeno élitario legato a ceto (appartenenza) e censo (soldi). Tutto ciò che non corrobora l’élite nella sua collocazione viene considerato commerciale [...] La letteratura è nelle intenzioni, si sa dopo chi ha fatto cultura. C’è una regolina semplicissima per distinguere un editore commerciale da uno ”non commerciale’: il secondo non pubblica mai un libro con l’esclusivo scopo di fare soldi, ma anche nella presunzione che abbia un pubblico sulla base del suo marchio [...] Il migliore uomo di marketing nella storia dell’editoria italiana è stato Giulio Einaudi, perché è riuscito a conferire ai libri che faceva un qualcosa in più. Anche Adelphi, che infatti è nata da una costola einaudiana, riproduce questo meccanismo. In questi casi il marchio è più forte del pubblico [...] In Italia il migliore marketing editoriale lo hanno fatto le case editrici che hanno adottato un modello dall’alto in basso. Einaudi la prende dall’alto. La Mondadori dal basso. Dice ai suoi lettori: io sono come te. Non gli dice: io sono più bello di te. Le faccio l’esempio: nel 1936 Mondadori pubblicò un libro di tale Francis Scott Fitzgerald che uscì con il titolo Gatsby il magnifico in una collana di libri per le serve, ”I romanzi della palma’. Era letteratura o no? Sa qual è il problema italiano? [...] In Italia la cultura ritiene di essere superiore. E questo ha un’origine storica perché la lingua italiana nasce come lingua scritta e non parlata. Quindi è la lingua dei colti per i colti che guardano con grande disprezzo a tutto ciò che non può essere rinchiuso nella cittadella fortificata che loro accuratamente difendono [...] le pagine culturali dei giornali sono un efficacissimo esempio di questa cosa: si rivolgono al gruppo dei lettori di libri ”buoni’, che ognuno, a seconda della tendenza del giornale, identifica in buono A, buono B e buono C. Ma il quotidiano non si propone mai di dare informazioni e di avvicinare alla lettura gente che tradizionalmente non li legge [... I giornalisti culturali hanno il problema di tutti, cioè di differenziarsi dal resto dei loro simili. E cercano di farlo come possono. Ed è ovvio che le cose che piacciono a tutti non possono piacere all’élite, di cui i giornalisti sono parte [...] La critica cinematografica è fatta molto meglio di quella letteraria: ci vorrebbe un Mereghetti anche per i libri [...] I giornalisti si sentono comunque un’élite e suppongono di saper fare il nostro mestiere meglio di noi. Perché chi legge libri ne trova di belli e di brutti e pensa che fare l’editore sia fare libri belli e non fare quelli brutti. Soffriamo del complesso di Trapattoni: come per la nazionale, ognuno ha la sua formazione e crede che sia la migliore. l’atteggiamento opposto a quello che hanno verso il dentista, tecnico sublime e supremo al quale si affidano ciecamente. Noi editori siamo l’opposto del dentista [...] Sono lamentele di categoria. I librai pensano che la libreria debba essere l’unico canale di vendita. Purtroppo non è così. Noi usiamo i canali dove si vende meglio [...] L’editoria è un’autonoma provincia dello spirito. Non è un’appendice della politica né dell’ideologia. L’editoria periodica ha un direttore responsabile che segue una certa linea politica e ne risponde all’editore. L’editoria libraria risponde agli autori. Il direttore editoriale non detta la linea politica [...] I vari marchi controllati da Mondadori hanno un proprio profilo e una propria identità che io tutelo in tutti i modi. Einaudi è e rimane di sinistra. Ciò non piace alla destra? Pace. Mondadori invece, per una lunga tradizione che risale ad Arnoldo in persona, non si è mai data una collocazione ideologica. Si lamentano perché pubblichiamo Tremonti e anche D’Alema? Sono voci diverse e ci piace così [...]”» (Caterina Soffici, ”Il Giornale” 4/11/2005).