Varie, 18 agosto 2003
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MASSIGNAN Imerio Valmarana di Altavilla (Vicenza) 2 gennaio 1937. Ex ciclista. Quinto al Giro del 1959 (secondo nella Aosta-Courmayeur, terzo nella Napoli-Vasto), quarto nel 1960 (secondo nella Trento-Bormio), undicesimo nel 1961, secondo nel 1962 (terzo nella Belluno-Passo Rolle), settimo nel 1963 (terzo nella Campobasso-Pescara), nono nel 1965
MASSIGNAN Imerio Valmarana di Altavilla (Vicenza) 2 gennaio 1937. Ex ciclista. Quinto al Giro del 1959 (secondo nella Aosta-Courmayeur, terzo nella Napoli-Vasto), quarto nel 1960 (secondo nella Trento-Bormio), undicesimo nel 1961, secondo nel 1962 (terzo nella Belluno-Passo Rolle), settimo nel 1963 (terzo nella Campobasso-Pescara), nono nel 1965. Decimo al Tour de France del 1960 (secondo nella Gap-Briançon), quarto nel 1961 (successo nella Tolosa-Superbagneres), settimo nel 1962 (secondo nella Antibes- Briançon) • «Dice che ”le montagne le ho viste un attimo dopo che sono nato, e da quel giorno non smettevano di guardarmi, e io non resistevo alla tentazione di salirci su”. Dice che ”poi, pianura o salita, a piedi o in bici, le gambe giravano lo stesso”. Dice che era ”un dono di natura”. E dice anche che – per il più bravo ad andare in montagna non c’erano maglia verde o a pois, non c’erano fiori né baci, c’era solo il nome sul giornale”. Nel 1960 e nel 1961, al Tour, quel nome era: Imerio Massignan. ”Ma sa, i francesi: il nome lo addolcivano in Merì e il cognome lo trasformavanoin D’Artagnan. Sarà stato che mi bastava un niente per farmi venire la voglia di andare all’attacco”. E Massignan attacca così: – Mi piaceva da matti correre al Tour. Erano gli anni delle squadre nazionali, niente maglia azzurra ma tricolore, ognuno di noi si sentiva, sulla pelle, campione d’Italia. Nel ’60 il c. t. era Alfredo Binda: mi diceva ’fa’ la tua corsa’, ma quando Nencini prese la maglia gialla il primo giorno di salite, sui Pirenei, la mia corsa diventò la sua. Così dovevo stare fermo, non potevo scattare, al massimo entrare in qualche fuga ma senza tirare. Stravincemmo: primo Nencini, secondo Battistini, settimo Pambianco, decimo io, e primo nei gran premi della montagna. Nel ’61 il c. t. era Antonio Covolo: aveva il pallino di Carlesi, la nostra squadra era meno forte, gli avversari si chiamavano Anquetil, Gaul, Darrigade e Stablinski, e io puntavo tutto su una tappa, quella che andava da Tolosa a Superbagnères, più di 200 km e tre colli, arrivo in salita. Me la sognavo di notte”. Di giorno, quel giorno, l’11 luglio, da Tolosa a Superbagnères non era come nel sogno. ”Fin dal via c’è aria di battaglia. Ma la battaglia non c’è, rimane solo l’aria, ed è un’aria fatta di afa e mosche, inquieta: cielo e nuvole, pioggia e sole, castagni e faggi, i Pirenei neri. Il primo colle: Col des Ares. Volatina: la vinco io. Ancora aria di battaglia, ma la battaglia non c’è ancora, e rimane solo l’aria, ed è un’aria fatta di boschi, Spagna e guardie civili. Il secondo colle: Col du Portillon. Volatina: stacco Junkermann e Gaul, e vinco io. Mi vengono a riprendere. Discesa su Luchon, poi la salita finale, da 600 metri a 1800. una gara a eliminazione, gli altri si staccano dietro, a un certo punto mi stacco anch’io, ma davanti. Da solo. Più si sale, più tira vento. In cima tremano gli alberi, si scuotono le tribune, spariscono le segnalazioni, decolla lo striscione. Non so neanche più dove sono, ho paura di aver sbagliato strada, e solo quando Covolo mi salta addosso, capisco di aver vinto”. Mani sul manubrio per non volare via. Sul podio, nella bufera, Merì D’Artagnan si commosse: ”La vittoria, merce rara”. Merì D’Artagnan si commosse anche a Parigi, al Parco dei principi, quarto in classifica e primo nei gran premi della montagna: – Cinquantamila spettatori, fiori e baci, inno nazionale e pelle d’oca”. C’è da capirlo, Merì D’Artagnan. ”Mio padre che si consumava le braccia a caricare sabbia per le fonderie, mia mamma che perdeva dita e occhi in un cotonificio, e a casa c’eravamo noi sei figli da tirare su a latte e pane nero, polenta e cipolle. Il primo anno da professionista finii il Giro senza sapere di avere una gamba, la destra, più corta della sinistra di un centimetro, e per arrivare fino a Milano ogni sera mi facevano impacchi di chiari di uovo. Gli impacchi di vino, quelli me li sono sempre fatti, prima, durante e dopo gli anni del professionismo. D’altra parte niente fumo, niente superalcolici, niente fritti. Niente sesso? Una volta, alla Legnano, scrissi la nota-spese: un tanto per ristoranti e trattorie, un tanto per il treno, e alla fine, specificando ’poiché l’uomo non è fatto di legno’, aggiunsi 10 mila lire senza la ricevuta. Pavesi, direttore sportivo della Legnano, sgranò gli occhi, si tolse la pipa di bocca, mi squadrò, si rimise la pipa in bocca e firmò”. ”In volata ero fermo. Se eravamo in 10, finivo decimo. Poi mi sono impegnato e anche migliorato. Se eravamo in 10, uno o due li battevo. I concerti delle cicale, i corridori che cadevano sfiniti dal caldo, le crisi di sete, il lavarsi braccia e gambe con la benzina per staccarsi il catrame di dosso: ecco i miei Tour de France”» (Marco Pastonesi, ”La Gazzetta dello Sport” 4/7/2003).