Varie, 17 agosto 2003
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LO CASCIO Luigi Palermo 20 ottobre 1967. Attore • «Con sei film in poco più di tre anni è diventato uno degli attori di riferimento del cinema italiano
LO CASCIO Luigi Palermo 20 ottobre 1967. Attore • «Con sei film in poco più di tre anni è diventato uno degli attori di riferimento del cinema italiano. Dal Peppino Impastato de I cento passi al Nicola Carati de La meglio gioventù, Luigi Lo Cascio non ha ancora sbagliato un copione. Divo poco esteriore e dalla intensa personalità, è arrivato tardi al cinema, dopo una formazione drammatica e anni di palcoscenico. [...] ”Diciamo che mi impegno nel cinema per dare emozioni e che poi mi lascio guidare dal regista. Non cerco solo parti di spessore. L’unico obiettivo è fare cose che mi convincano e mi divertano. Finora è andata bene, ma c’è stata anche una buona dose di fortuna [...] amo mantenere una distanza dal personaggio, non credo troppo nell’immedesimazione. Penso che l’attore debba essere il primo a emozionarsi in una scena, altrimenti anche il pubblico resta indifferente. Però non mi convince molto chi si prepara a lungo il personaggio, chi lavora troppo su di sé. Io ragiono più in termini di utile e inutile, di necessario e superfluo piuttosto che di naturale e innaturale. In fondo il cinema è un’arte del togliere più che dell’aggiungere. Per questo amo una recitazione contenuta, accennata. Amo pensare che sarà il pubblico a completare la storia [...] Ho un rapporto particolare con la televisione. La tengo sempre accesa, persino quando studio. Mi piace il suo rumore di fondo, sono attratto anche dai programmi peggiori. E sono convinto che abbia grandi potenzialità di narrazione [...] La tv è il mezzo ideale per lo stile epico, perché consente di raccontare saghe familiari o epoche storiche in più puntate che, portate sul grande schermo, risulterebbero compresse. In fondo è questo ad aver decretato il successo delle sei ore di La meglio gioventù [...] Io credo che si impari più da un film brutto che ti spinge a cercare l’errore, anziché da uno bello che semplicemente lascia senza parole”» (’La Stampa” 14/4/2004). «Ho studiato medicina con l’intento, poi abbandonato per fare l’attore, di laurearmi in psichiatria. Sono anche figlio e nipote di psichiatri e da bambino andavo a giocare a carte con i pazienti delle comunità terapeutiche [...] Ferrero mi ha insegnato cos’è la disciplina dell’attore; Costa mi ha fatto capire il principio della metamorfosi nel personaggio; Carmelo Bene non è stato mio maestro direttamente, ma assistendo ai suoi spettacoli ho compreso quale sia, nel nostro mestiere, il problema della "foné"» (Emilia Costantini, ”Corriere della Sera” 18/7/2003). «Ero seriamente intenzionato a diventare psichiatra, ma in famiglia c’era zio Luigi che faceva teatro e la sua passione mi ha contagiato, ho cominciato a recitare in vari gruppi, poi mi sono iscritto all’Accademia. Ed è stato mio zio a segnalarmi a Giordana, lo ha portato a teatro a Palermo dove recitavo Shakespeare. La fortuna è stata che, dopo I cento passi, Piccioni, con Luce dei miei occhi, mi ha aiutato a dimostrare di essere un attore in grado di fare ruoli diversi, capace di cambiare. Anche di fare il gay in Il più bel giorno della mia vita, in cui ho cercato di evitare i cliché, ho puntato sulla storia d’amore, difficile come tutte le storie d’amore [...] La notorietà mi è arrivata dopo i trent’anni, ero già abbastanza formato, non mi ha provocato grandi scossoni. Il cinema mi ha aiutato a innamorarmi di nuovo del mestiere dell’attore. E mi piace la vita girovaga, gli alberghi, gli aeroporti, i luoghi anonimi [...] Sarei ipocrita se dicessi che non mi fa piacere quando mi riconoscono. Ma in genere succede che si avvicinano. Lei è quell’attore, quello che ha fatto.. Poi mi guardano... No, scusi, lei è meno carino, più piccolo, e se ne vanno. la magia del cinema che mi fa apparire più alto e più bello [...] Senza fare la retorica dell’attore affamato che deve fare mille mestieri per mantenersi, è vero che per molti anni dovevo scegliere se comprare il giornale o il caffè. Nel teatro la gerarchia è molto forte, la differenza tra il primo attore è gli altri è abissale e con le centomila lire devi pagare vitto, alloggio e anche le tasse. Non sono ricco, ma con il cinema mi sembra di vivere nel lusso sfrenato» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 7/8/2003).