Varie, 13 luglio 2003
Tags : Fioravante Palestini
PALESTINI Fioravante 9 settembre 1946. Culturista, famoso per uno spot tv della Plasmon, il 24 maggio 1983 fu sorpreso su una nave con un carico di 233 chili di eroina: condannato da un tribunale egiziano a 25 anni di carcere, fu liberato nel giugno 2003 dopo 7322 giorni di prigione
PALESTINI Fioravante 9 settembre 1946. Culturista, famoso per uno spot tv della Plasmon, il 24 maggio 1983 fu sorpreso su una nave con un carico di 233 chili di eroina: condannato da un tribunale egiziano a 25 anni di carcere, fu liberato nel giugno 2003 dopo 7322 giorni di prigione. "’Prendevo le bottiglie di plastica della Coca Cola, le riempivo di sabbia e pietre, cinque chili, sei chili... Dài Fioravante, mi dicevo, solleva che è passato un altro giorno e presto torni a casa”. Ne sono passati 7 mila 322, di giorni. Vent’anni e due settimane. [...] Un record, questo di Fioravante Palestini. Così come rimane un record quel carico di eroina che stava scortando via mare, 233 chili, un affare di mafia da mille miliardi di allora, anno 1983. Quando Fioravante, al Cairo, s’è preso una condanna a 25 anni di lavori forzati. Che storia, la sua. Più grande di lui, che è pure un omone di quasi due metri e 110 chili di muscoli. Tragica, perché sono stati 20 anni di miseria, disperazione e tragedie, terroristi islamici, assassini, ladri e altri trafficanti per amici. Anche stupida, perché era cominciata come un gioco pericoloso. Con un bel presente, perché da 20 anni di carcere egiziano ne escono pochi. Con una prossima puntata incerta: per i giudici di Palermo c’è ancora qualche pendenza da sistemare, processi per traffico di droga e per la sua amicizia con il boss Gaspare Mutolo, e sia maledetto il giorno che l’ha incontrato in un bar. [...] ”Mangiavo poco, dormivo niente, mi allenavo sempre. Poi mi mettevo nell’angolo, il mio angolo, con la schiena appiccicata al muro sudicio. So io quanto ho sofferto, solo io so quello che ho visto. Due anni in isolamento in una cella di un metro per tre. E poi i cameroni dove ce ne stavano cinquanta ed eravamo in cento. In quelle celle si mangia, si prega, si piange, si litiga, si caga, si muore, si drogano con qualsiasi pastiglia, dormono appiccicati l’uno all’altro, fanno sesso. Meno male che io ho i muscoli, ero rispettato e avevo il mio angolo sicuro. Ero il più forte, o almeno così pensavano tutti [...] Il peggio è stato l’inizio, 24 maggio 1983. Ero su una nave greca che trasportava eroina, sì. Lo sapevo, sì. Non sapevo che c’era di mezzo la mafia. Non sapevo che l’Fbi americano ci aveva intercettato, e che il comandante della nave era d’accordo. Quando mi hanno arrestato c’erano gli elicotteri e mille soldati, ma eravamo in acque internazionali e al processo mi hanno assolto. Che fortuna... Però in due ore, dico due ore, con una legge d’emergenza gli egiziani decidono di spostare il confine a mare di un chilometro e mi arrestano di nuovo. Ero finito. 25 anni di lavori forzati, i primi due in isolamento. Uscivo cinque minuti alla mattina e cinque alla sera, ho perso 35 chili di peso, ero nel reparto del carcere dove stavano quelli che hanno ucciso il presidente Sadat. C’era anche Omar Abdul Rahman, lo sceicco cieco, il capo spirituale della Jihad islamica che adesso è in carcere negli Stati Uniti. Veniva il venerdì per la preghiera. Voleva convertirmi. Per loro io, ’grande italiano e grande mafioso musulmano’, sarei stato di propaganda. Mi avevano procurato un Corano in italiano. ’L’hai letto?’, mi hanno domandato. Sì. ’E non ti è successo niente?’. No. Il mio impatto con i fondamentalisti è stato un trauma”. Fioravante è chiuso in cella, ”mani e piedi incatenati”, e dall’Italia nessuno se lo fila. Giovanni Falcone vola al Cairo con il pm Giuseppe Ayala, lo interroga e poi scrive al padre: ”Ho potuto constatare la drammaticità della condizione carceraria di suo figlio. Purtroppo è problematico che quel Paese accetti una richiesta di estradizione, ma le assicuro che continuerò a fare quanto è nelle mie possibilità”. La sorella scrive a ministri e deputati. L’ambasciata italiana non ha ancora capito se Palestini è un boss mafioso oppure un vitellone della costiera adriatica finito nei guai. E gli anni passano... ”Veniva a trovarmi Padre Lauro, un missionario comboniano. Che uomo! Non mi ha mai parlato di religione, ma mi portava libri di teologia. Leggevo, leggevo, leggevo. Libri anche di duemila pagine, fini fini. Libri che mi hanno dato coraggio e anche la fede. E questa è stata la base della mia salvezza, del mio resistere per questi vent’anni. Padre Lauro si è battuto come un leone, per me. [...] Uno dei momenti più brutti è stato quando ho saputo della morte di Falcone. Se sono ancora vivo lo devo a lui. Quando mi ha interrogato non ha ottenuto niente da me, però, da quel grand’uomo che era mi fece capire il mio sbaglio. E compresi che, visto cosa stava succedendo in Italia in quegli anni, sarebbe stato meglio rimanere in Egitto. Come si dice? Espiare la mia colpa, ma rimanere vivo. Anche per non dare un altro dolore alla mia famiglia. Ricordo le ultime parole di Giovanni Falcone: ’’Fioravante, tu sei di un’altra pasta. Farò di tutto per portarti in Italia. IIo avevo conosciuto Gaspare Mutolo in un bar. Lui era in soggiorno obbligato a Teramo, e aveva preso in affitto un appartamento qui sul mare. Aveva tre figli, e io in quegli anni ero ancora ’Gabriellino’, come mi chiamano qui, ’quello dei Caroselli della Plasmon’, quello del gong sulla colonna. Facevo il bagnino e andavo d’accordo con tutti. I suoi tre bambini con me si divertivano. Non sapevo che era un mafioso. E non potevo immaginare che da quella conoscenza, da quell’amicizia, sarei finito in questo guaio lungo vent’anni. Non sapevo chi fosse ’Kim il cinese’, che per Falcone era il trafficante numero uno. Credo di aver pagato il mio conto, anche se mi aspettano i magistrati di Palermo. [...] Quando ho compiuto quattro anni mi sono detto che era proprio finita, che stavo per morire. Avevo preso un virus che in pochi giorni mi ha tolto 20 chili. La febbre. Svenivo. Perdevo i capelli a ciuffi. Sentivo i miei compagni, ’Palestini sta morendo...’. Avevo già regalato le mie poche cose. Un giorno me l’ha detto anche il capo delle guardie e mi è scattato qualcosa dentro. No, ho risposto, devo vivere per la mia famiglia! Ho preso le bottiglie e le ho riempite di sabbia... Era il 1987. Avevo i pesi per rifarmi i muscoli. Piano piano ho visto che ce la facevo. Un giorno, due giorni, tre giorni, dài che va meglio. Mi allenavo per cinque ore, alla sera ero sfinito e mi buttavo nel mio angolo. Più mi allenavo e più mi rispettavano. Grazie a Padre Lauro mi sono arrivati dei pesi veri, erano la mia vita. Scrivevo a mia madre, ’la mia forza aumenta, non riesco a credere a me stesso, continuo a superarmi, devo tornare in Italia fortissimo come lo sono adesso’. Mi allenavo per non dimenticare chi ero. Io, il simbolo della forza, l’uomo Plasmon, a questo inferno devo resistere. Abu Zaabel, a un’ora dal Cairo, è la prigione dove ho vissuto più di quindici anni. Si chiama ’Carcere di punizione per condannati ai lavori forzati’. Eravamo in cinquemila, io l’unico italiano, l’unico europeo. C’era di tutto, là dentro. La mosca più piccola era grande come un fagiolo, insetti di ogni genere e tutti che ti succhiavano il sangue. Scarafaggi così grossi che qualcuno li faceva fritti. Da mangiare solo riso e fave, ma il riso aveva un condimento giallo ed era la cacca degli uccelli. Sbucciavo cinque fave e mi passava la fame. E aspettavo Padre Lauro con qualche pacco da casa. Sapevo che dopo 20 anni, per buona condotta, me ne avrebbero scontati cinque. Ma non ne ero sicuro, lì non hai mai certezza e se non si fosse preoccupata la dottoressa Favi sarei ancora in cella. Ci sono prigionieri che aspettano di uscire da anni, lì se li dimenticano. Quando mi hanno chiamato per dirmi di preparare le mie poche cose mi hanno raccomandato di non parlarne con nessuno, di dire che cambiavo carcere. Ci sarebbe stata la rivolta dei dimenticati e poi le guardie che entrano in cella, i prigionieri tutti in piedi contro il muro, nudi, mani in alto e saltare. E giù botte con i bastoni... Sai che i tanzaniani impazziscono per la Juventus e i nigeriani per il Milan e Gattuso? Vedevamo le partite di calcio sulla tv egiziana e dopo la sconfitta della Juve in Champions League c’era un tanzaniano che si voleva ammazzare per la disperazione’".(Giovanni Cerruti, ”La Stampa” 22/6/2003).