Stefano Bartezzaghi, La Stampa, 02/06/1995, 2 giugno 1995
Verso la fine del Nome della Rosa di Umberto Eco, Guglielmo e Adso visitano i reliquiari dell’Abbazia e vedono la punta della lancia che trafisse il costato di Gesù, un chiodo e un pezzo della croce, un pezzo della mangiatoia di Betlemme; e poi la spada di Santo Stefano, una tibia di Santa Margherita, il mento di Sant’Eobano, l’anello di fidanzamento di San Giuseppe, la verga di Mosé e varie reliquie di questo genere
Verso la fine del Nome della Rosa di Umberto Eco, Guglielmo e Adso visitano i reliquiari dell’Abbazia e vedono la punta della lancia che trafisse il costato di Gesù, un chiodo e un pezzo della croce, un pezzo della mangiatoia di Betlemme; e poi la spada di Santo Stefano, una tibia di Santa Margherita, il mento di Sant’Eobano, l’anello di fidanzamento di San Giuseppe, la verga di Mosé e varie reliquie di questo genere. Il commento di Guglielmo scandalizza Adso: «Di frammenti della croce ne ho visti molti altri, in altre chiese. Se tutti fossero autentici, Nostro Signore non sarebbe stato suppliziato su due assi incrociate, ma su di un’intera foresta... Tempo fa, nella cattedrale di Colonia, vidi il cranio di Giovanni Battista all’età di dodici anni». Adso si meraviglia e obietta che «il Battista fu ucciso in età più avanzata». Guglielmo conclude: «L’altro cranio deve essere in un altro tesoro».