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 1999  dicembre 19 Domenica calendario

Marisa assiste ai controlli sull’auto, accompagna magistrati e detective a casa sua, per prendere le foto che vengono trasmesse a tv e giornali

Marisa assiste ai controlli sull’auto, accompagna magistrati e detective a casa sua, per prendere le foto che vengono trasmesse a tv e giornali. Li sente avvisare i valichi di frontiera, organizzare posti di blocco. Vede suo marito Roberto Panizzolo terrorizzato, le sue figlie Paola, tredicenne in terza media, e Rossana, undicenne, spaventatissime. E tace. Partono i soccorsi, i blitz nei campi nomadi. E lei comincia a perdere il filo dei ragionamenti: qualche parente racconta che «sì, lei aveva detto che da una settimana qualcuno la seguiva...», e Marisa dice che sì, è vero, la si scusi ma s’ è proprio dimenticata di dirlo agli investigatori. Si sente addosso le occhiate incerte di chi indaga. Ma regge, resiste finché, a mezzanotte e mezza, i fantasmi si materializzano nello squillo di un telefonino, quello del colonnello Mauro Valentini. Una signora di Ponte San Marco, un paesino confinante, ha letto sul televideo la notizia del bambino scomparso e ha visto un piccolo zainetto, sistemato vicino a un cassonetto in riva al fiume Chiese, in una zona buia, accanto alle fabbrichette, accanto al ponticello sfondato dagli incidenti. E quando l’ha visto? La testimone è sicura: «Alle 17.30. Lo so perché mio padre ha voluto sapere come mai avessi tardato...». Se dunque lo zainetto del piccolo Giorgio era accanto al fiume già alle 17.30, come ha fatto il bimbo a sparire dall’auto dieci minuti prima delle 18? Marisa non solleva più la faccia, viene portata, coperta da un cappotto di piumino, accanto al cassonetto. Non batte ciglio, non piange, ma piano piano la sua anestesia al dolore finisce, crolla, e quando entra in carcere chiede delle figlie, e vuole abiti pesanti. Ha freddo anche lei, tanto, troppo freddo. E non ha nemmeno dato un bacio a Giorgio, prima di buttarlo giù dal ponte, nell’acqua veloce e nera, e ora, come dice il suo avvocato è in un «muro di lacrime».