Antonio Polito, la Repubblica 30/11/1999; Alfio Bernabei, líUnit 03/12/1999, 30 novembre 1999
Il British Museum di Londra ha infine consentito a venti studiosi di nazionalità diverse l’esame di documenti del suo archivio che mettono in discussione la fondatezza del diritto di trattenere i marmi del Partenone
Il British Museum di Londra ha infine consentito a venti studiosi di nazionalità diverse l’esame di documenti del suo archivio che mettono in discussione la fondatezza del diritto di trattenere i marmi del Partenone. Secondo la versione ufficiale lord Elgin, un conte scozzese politicante e diplomatico, acquistò i marmi dalle autorità dell’Impero ottomano che governavano Atene nel 1801, per poi rivenderli al British. Senonché per aggiudicarsi i marmi il lord pagò tangenti al governatore civile, quello militare e ad altri funzionari ottomani: «90 piastre per un fregio del lato meridionale, 155 piastre per una figura, 100 per delle teste di cavallo...», per un totale di quattromila sterline (il bilancio del British Museum allora raggiungeva a stento le tremila sterline). Tra gli studiosi William St. Clair ha svelato inoltre le censure messe in atto dal British per nascondere i danni causati dal restauro realizzato sui marmi negli Anni Trenta. La pulitura fu eseguita usando pagliette di ferro, martelli, scalpelli, carta metallica e sostanze chimiche che raschiarono anche tracce reisidue di colore. Quanto alla possibilità di restituire i marmi alla Grecia il Governo lo esclude. Da un editoriale del ”Telegraph” del 29 novembre: «In fin dei conti l’attuale governo greco non ha nessun nesso legale con i funzionari ottomani coinvolti nella transazione e, meno ancora, con i costruttori del Partenone. L’attuale popolazione della Grecia discende in gran parte dagli invasori che colonizzarono la regione alla fine del primo millennio».