Enzo D’Errico, Corriere della Sera 15/12/1999, 15 dicembre 1999
Napoli. «Pago, certo che pago... Appena incasso la vincita, vi do fino all’ultima lira». Quella promessa, ormai, vale più d’una cambiale
Napoli. «Pago, certo che pago... Appena incasso la vincita, vi do fino all’ultima lira». Quella promessa, ormai, vale più d’una cambiale. Soprattutto quando a cavartela di bocca è il boss del rione, uno che se solo provi a dire «ma...» ti spedisce al camposanto. Ecco perché ai 25 napoletani del quartiere Soccavo che, il 30 ottobre scorso, avevano azzeccato la combinazione del Superenalotto portando a casa più di 36 miliardi, non è rimasta altra scelta. [...] «Quanto avete vinto, poco più di un miliardo a testa? Bene, una parte spetta a noi perché dobbiamo aiutare le famiglie dei carcerati...». Il padrino, accompagnato dai suoi sgherri, ha recitato il copione casa per casa. Senza mutare mai l’accento, ma cambiando di volta in volta l’ammontare della cifra da riscuotere: una «taglia» da 50 milioni per chi possedeva una sola quota del «sistema» fortunato, una da 500 o addirittura 700 milioni per gli altri. Aveva di fronte pensionati, manovali, disoccupati, gente che solitamente tira la cinghia per arrivare a fine mese e che, d’improvviso, s’era vista catapultata in paradiso da quella vincita miliardaria. Non gli è importato granché di tutto questo: l’unico sconto l’ha concesso a una signora, che aveva bisogno dei soldi per sottoporre il marito a un delicato intervento cardiochirurgico negli Stati Uniti. Chi ha cercato di reagire, invece, è finito all’ospedale con le braccia e le gambe spezzate. A Soccavo se ne parlava da tempo di questa storia. Ma sempre sottotraccia. Nessuno aveva avvertito la polizia, nessuno s’era azzardato a inviare un esposto in Procura. Col passare dei giorni, però, le voci sono rimbalzate fin dentro gli uffici della Squadra Mobile che, su mandato della magistratura, ha avviato un’indagine riservata. Rimaneva da sollevare, quindi, soltanto l’ultimo drappo del sipario. E a farlo è stato un lettore del ”diario”. Nella missiva indirizzata al giornale, e pubblicata sul numero da oggi in edicola, un «piccolo imprenditore napoletano» (il cui nome viene taciuto per ovvie ragioni di sicurezza) sostiene di aver scoperto i retroscena di questa terribile vicenda attraverso i racconti dei suoi operai, originari di Soccavo, un quartiere all’estrema periferia della città.