Lorenzo Soria, La stampa 29/12/99, 29 dicembre 1999
In quegli stessi campus universitari che trent’anni fa sono stati il teatro di continue proteste contro il Vietnam e contro le multinazionali, la nuova controcultura è Internet e tutti sembrano impegnati nella corsa a prendere il treno della rete prima che sia troppo tardi
In quegli stessi campus universitari che trent’anni fa sono stati il teatro di continue proteste contro il Vietnam e contro le multinazionali, la nuova controcultura è Internet e tutti sembrano impegnati nella corsa a prendere il treno della rete prima che sia troppo tardi. Le università rispondono mettendo in piedi curriculum in commercio elettronico e organizzando viaggi di studio nella Silicon Valley, ma l’esodo continua. «Non c’è più bisogno di avere 15 o 20 anni di esperienza, tutto ciò che conta sembra essere un’idea e qualcuno che la finanzi», commenta David Schmittlein, direttore della Wharton School. Una volta trovato il capitale pronto a finanziare l’idea, le nuove società hanno però sempre più bisogno di mani esperte per gestirle e per rassicurare gli azionisti. Ed è qui che entrano in ballo i Maffei e gli altri executives che a ritmi senza precedenti lasciano aziende del high-tech come la Microsoft e aziende della vecchia economia come Citibank, Andersen, Hasbro, Disney e ITT per andare a lavorare in ”start-ups” con nomi come ”Cyberian Outpost” o ”E-Toys”. Ogni giorno si legge di una importante defezione, gente per la quale l’avere accumulato un capitale di 10 o di 20 miliardi di lire sembra troppo poco e che vorrebbe potere aggiungere un po’ di zeri a quella cifra. Se i venticinquenni che hanno fondato Yahoo o Priceline sono riusciti ad accumulare fortune difficili da calcolare, perché non loro? Perché continuare a lavorare per uno stipendio alto ma che non gli consentirà mai di raggiungere il traguardo del miliardo di dollari, la nuova soglia della vera ricchezza? Tutti su Internet, dunque. E tutti a sognare l’accumulazione immediata di immense fortune.