Maurizio Stefanini, il Borghese 9/1/2000, 9 gennaio 2000
In futuro la lingua dei computer non sarà l’inglese, ma un idioma che, secondo Umberto Eco, non si baserà sulla logica bivalente (vero/falso), a fondamento del pensiero occidentale, ma su una logica trivalente, «pertanto capace di esprimere sottigliezze modali che le nostre lingue catturano solo a prezzo di faticose perifrasi»
In futuro la lingua dei computer non sarà l’inglese, ma un idioma che, secondo Umberto Eco, non si baserà sulla logica bivalente (vero/falso), a fondamento del pensiero occidentale, ma su una logica trivalente, «pertanto capace di esprimere sottigliezze modali che le nostre lingue catturano solo a prezzo di faticose perifrasi». La lingua prescelta è parlata da poco più di due milioni di indios di un’etnia di un altopiano boliviano, per lo più contadini, che per l’abitudine di non lavarsi, dovuta a scarsità di acqua, non possono scendere in pianura senza rischiare di ammalarsi gravemente per il risvegliarsi sul loro corpo dei germi che tra i 2.000 e i 4.000 metri di quota restano ibernati.