14 giugno 2001
Minotti Alfonso detto Mario, di anni 69, romano, manovale in pensione, vedovo da tre anni. Sabato prima di Pasqua, in pigiama, litigò col figlio Fabio, di anni 33, disoccupato, lavoretti saltuari come operaio, perché doveva spendere tutta la sua pensione per mantenere lui, la sua fidanzata, Zecchini Emanuela, di anni 26, e il loro pargolo di tre anni
Minotti Alfonso detto Mario, di anni 69, romano, manovale in pensione, vedovo da tre anni. Sabato prima di Pasqua, in pigiama, litigò col figlio Fabio, di anni 33, disoccupato, lavoretti saltuari come operaio, perché doveva spendere tutta la sua pensione per mantenere lui, la sua fidanzata, Zecchini Emanuela, di anni 26, e il loro pargolo di tre anni. Erano in cucina. A un certo punto Fabio, in tuta, si beccò quattro ceffoni: senza dire una parola, aprì il cassetto delle posate, prese un coltello multiuso, 15 centimetri di lama e colpì il padre per quattro volte al petto e alla gola. Gli piantò poi altre venti coltellate alla schiena. Si fermò perché il manico di legno dell’arnese si era spezzato graffiandogli la mano. I piedi nudi sporchi di sangue, scese i quarantadue scalini condominiali fino all’ingresso, gridando al rapinatore assassino, gettò il coltello in un tombino e andò a svegliare la Zecchini, che non aveva sentito nulla. Intorno all’una di notte di domenica 15 in un appartamento di settanta metri quadri al secondo piano di una strada stretta nel quartiere di Centocelle, Roma.