Anna Maria Speroni su Io donna del 23/06/01 a pagina 246., 23 giugno 2001
Gli "amatores", i tifosi dei combattimenti nel circo, erano divisi in due fazioni: i "parmularii" sostenevano chi combatteva col "parma", un piccolo scudo rotondo; gli "scutarii" chi usava lo "scutum", un grande scudo oblungo
Gli "amatores", i tifosi dei combattimenti nel circo, erano divisi in due fazioni: i "parmularii" sostenevano chi combatteva col "parma", un piccolo scudo rotondo; gli "scutarii" chi usava lo "scutum", un grande scudo oblungo. Al tifo non si sottraevano neppure gli imperatori: Nerone, parmulario, donò al suo gladiatore preferito, Spiculus, i patrimonii e le abitazioni dei senatori caduti in disgrazia; Domiziano, scutario, gettò in pasto ai cani uno spettatore colpevole di aver offeso la sua tifoseria. L’imperatore Commodo scendeva in campo di persona, coperto da una pelle di leone, e massacrava con la clava uomini e animali. Ai combattimenti assistevano anche le donne, «ma per i muscoli dei lottatori più che per le tecniche di lotta. Tant’è che divertirsi agli spettacoli senza il permesso del marito era motivo sufficiente per essere ripudiate». A Pompei erano famose le doti amatorie di Crescente (soprannome: "puellarum dominus") e di Celado ("suspirium puellarum"). Per un certo Sergio, la moglie di un senatore lasciò il marito, con grande scandalo della buona società. Problematico, tuttavia, metter su famiglia: i gladiatori facevano vita da caserma, al massimo potevano permettersi un’amante, non una moglie, molto raramente avere dei figli. Campavano circa trent’anni, solo un po’ meno della vita media dell’epoca, perché i combattimenti, in fondo, non erano molti: una ventina in tutto, due l’anno. Eccezioni, Massimo, che a Roma vinse trentasei corone nel I secolo dopo Cristo, e Generoso, che ne collezionò ventisette a Verona, nel II secolo. Non sempre i perdenti morivano: le gare, infatti, potevano essere "sine missione", cioè terminare con la morte di uno dei due contendenti, oppure concludersi con la richiesta di "missio", un equivalente della grazia. A decidere era l’editore, il funzionario organizzatore nonché arbitro dei giochi, che spesso si lasciava influenzare dalla folla. Gli spettatori, infatti, se ritenevano che il perdente si fosse battuto valorosamente sostenevano a gran voce la grazia, altrimenti si scatenavano nella richiesta di morte.