Beppe Severgnini, "Manuale dellíimperfetto viaggiatore", Rizzoli., 28 giugno 2001
«Ad Amsterdam noi italiani siamo riconoscibili perché abbiamo un altro passo. Passo ciclistico, intendo
«Ad Amsterdam noi italiani siamo riconoscibili perché abbiamo un altro passo. Passo ciclistico, intendo. Gli indigeni, allenati sulle scale vertiginose delle loro case sui canali, sfrecciano con sicurezza lungo le piste ciclabili, scattano ai semafori come in una finale olimpica, attraversano nei posti giusti, si fermano, balzano di sella, chiudono il lucchetto con un colpo secco, scompaiono. Noi avanziamo con calma olimpica, come se Damrack fosse la passeggiata di Finale Ligure. Ogni operazione ci riesce leggermente goffa: abbiamo ritardi colpevoli agli incroci, scambiamo le piste ciclabili con le rotaie dei tram, osserviamo diffidenti il "paddestoel" (fungo delle informazioni per i ciclisti), armeggiamo per un quarto d’ora intorno al lucchetto. I ragazzoni biondi che affittano le biciclette - una simpatica somiglianza con i replicanti di "Blade Runner" – sorridono indulgenti: solo gli italiani vogliono tenere la bici "per un’ora al massimo" e riescono a scontrarsi nelle stanze del noleggio (ero testimone: nessun ferito). Amsterdam è un luogo eternamente studentesco: non poteva non piacere a noi italiani, che non abbiamo mai fretta di diventare grandi... E’ meno complicata di Londra e Parigi, meno distante di Stoccolma e San Pietroburgo, meno sofisticata di Praga e Lisbona. La fama libertaria che l’accompagna solletica anche coloro che non sanno cosa farsene di quella libertà (perché la moglie vigila, perché l’acquisto di droghe leggere presuppone la capacità di pronunciarne il nome). Se vi avvicinate ai gruppi di connazionali, scoprirete che l’eccitazione che li percorre è quella tipica della gita parrocchiale. Conta poco che i gitanti abbiano cinquantacinque anni. L’entusiasmo e i cappellini sono quelli» (Beppe Severgnini).