10 luglio 2001
Ma insomma, cos’è la timidezza? Il professor Filippo Petruccelli, direttore dell’Istituto per lo studio delle psicoterapie di Roma, la definisce così: «Una difficoltà, più o meno accentuata, nel gestire le relazioni interpersonali
Ma insomma, cos’è la timidezza? Il professor Filippo Petruccelli, direttore dell’Istituto per lo studio delle psicoterapie di Roma, la definisce così: «Una difficoltà, più o meno accentuata, nel gestire le relazioni interpersonali. La vita in società è regolata da un insieme di norme che impongono precisi tipi di comportamento. Le timide le conoscono, ma non riescono a rispettarle. E quindi sembrano inadeguate». Durante la crescita, si fanno esperienze che permettono di acquisire e riconoscere queste norme. per questo, ad esempio, che vi rivolgete istintivamente a un professore dandogli del lei. «In realtà», continua Petruccelli, «questo meccanismo automatico viene disturbato da interferenze emotive. Il cervello ragiona per immagini visive, veloci e inconsapevoli, che fanno prevedere i possibili sviluppi della situazione che si sta affrontando. Le timide prevedono esiti negativi e quindi diventano ansiose, arrossiscono, tremano, s’inceppano nel parlare, sudano». Insomma, se in passato vi è capitato di fare una figuraccia sull’autobus, ogni volta che ci salite di nuovo vi aspettate inconsciamente di rifarla, e assumete un atteggiamento «da timida». Ma c’è un momento in cui la timidezza deve essere affrontata come una malattia? «La gravità della situazione si capisce dalla quantità di rinunce che la timidezza vi costringe a fare e dal numero di persone che frequentate. Alcune, a furia di evitare situazioni che le mettono a disagio, finiscono col diventare un po’ orse. Altre riescono ad avere rapporti sereni solo coi parenti più stretti o con un’amica». Come potete rimediare, allora? «Di trucchi ce ne sono tanti. Il più frequente è quello di usare a vostro vantaggio lo stesso meccanismo da cui nasce la timidezza». Gli esperti la chiamano «visualizzazione creativa»: «Si tratta», conclude Petruccelli, «di pensare positivo, di immaginare volontariamente che le cose vadano nel verso giusto».