Gabriel GarcÏa Marquez su la Repubblica del 17/07/01 a pagina 41., 17 luglio 2001
Per dedicarsi completamente alla scrittura di "Cent’anni di solitudine", Gabriel Garcìa Marquez fu costretto ad abbandonare tutte le altre attività (testi per la pubblicità, spot televisivi, testi per canzoni, qualche copione) e ben presto si trovò in ristrettezze: «I migliori amici facevano a turno in gruppi per farci visita ogni sera
Per dedicarsi completamente alla scrittura di "Cent’anni di solitudine", Gabriel Garcìa Marquez fu costretto ad abbandonare tutte le altre attività (testi per la pubblicità, spot televisivi, testi per canzoni, qualche copione) e ben presto si trovò in ristrettezze: «I migliori amici facevano a turno in gruppi per farci visita ogni sera. Capitavano come per caso e, con il pretesto di riviste o libri, ci portavano ceste dal mercato che sembravano casuali. Carmen e Alvaro Mutis, i più assidui, mi davano corda perché raccontassi loro il capitolo del romanzo che stavo scrivendo in quel momento. Io mi arrangiavo a inventare per loro versioni di comodo, avendo la superstiziosa convinzione che raccontare quello che stavo scrivendo avrebbe spaventato persino i fantasmi». Quando il libro fu pronto, Marquez ne inviò una copia ad Alvaro Mutis, che gli telefonò indignato dopo aver scoperto che il romanzo era diverso da quello che aveva ascoltato a casa dello scrittore e che aveva raccontato in giro: «Mi ha fatto fare la figura di uno scemo, merda! Questo libro non ha niente a che fare con quello che lei ci raccontava. Meno male che è molto meglio».