Donata Righetti sul Corriere della Sera del 25/07/01 a pagina 33., 25 luglio 2001
Nel 1911 Apollinaire presentò al suo caro amico Pablo Picasso l’avventuriero belga Géry-Piéret, che gli vendette, per cinquanta franchi, due teste iberiche in pietra provenienti dal Louvre
Nel 1911 Apollinaire presentò al suo caro amico Pablo Picasso l’avventuriero belga Géry-Piéret, che gli vendette, per cinquanta franchi, due teste iberiche in pietra provenienti dal Louvre. A quel tempo il museo era giudicato un colabrodo, tanto che Picasso era solito scherzare con gli amici: «Vado al Louvre. Serve niente?». Il 21 agosto sparì dal museo la Gioconda, sessanta ispettori setacciarono ogni angolo cercando però di nascondere la notizia. Due giorni dopo, tutti i quotidiani parlavano del furto, formulando le ipotesi più stravaganti: erano state le spie tedesche, era stato un folle innamorato di Monna Lisa. Picasso e Apollinaire, presi dallo spavento, pensarono di liberarsi delle due teste iberiche utilizzate come spunto per le "Demoiselles d’Avignon" : lasciarono l’appartamento di boulevard de Clichy per buttarle nella Senna ma alle due del mattino, lividi e tutti sudati, tornarono a casa con le sculture celate dai soprabiti. Il giorno seguente le consegnarono al "Paris Journal": Apollinaire fu arrestato e spedito in carcere con l’accusa di ricettazione e complicità in furto. Picasso, chiamato dal giudice istruttore per un confronto col poeta, giurò in lacrime più e più volte: «Mai conosciuto questo signore». I due, ad ogni modo, nulla avevano a che fare col furto della Gioconda (e infatti Apollinaire restò in galera due settimane appena). Solo due anni dopo si scoprì che il ladro era un imbianchino italiano di nome Vincenzo Peruggia. Costui, incaricato di alcuni lavoretti al Louvre, la mattina del 21 agosto era entrato dalla porta di servizio, aveva preso il quadro, aveva buttato la cornice in un sottoscala ed era uscito con la Gioconda arrotolata sotto la giacca. La tela ricomparve a Firenze nel 1913, consegnata dallo stesso Peruggia, che sosteneva di averla presa per ragioni patriottiche, visto che era stata rubata all’Italia da Napoleone. In realtà era stato Leonardo a venderla, per quattromila scudi d’oro, a Francesco I (era il 1517).