Marcello Sorgi, La testa ci fa dire. Dialogo con Andrea Camilleri, Sellerio, 27 luglio 2001
«Cassesa era mio professore d’italiano al liceo. Uno straordinario uomo che al primo liceo, in piena epoca fascista, quando bisognava portare la camicia nera, arrivava con il cappotto, l’impermeabile abbottonato fino al collo perché si vergognava a indossarla
«Cassesa era mio professore d’italiano al liceo. Uno straordinario uomo che al primo liceo, in piena epoca fascista, quando bisognava portare la camicia nera, arrivava con il cappotto, l’impermeabile abbottonato fino al collo perché si vergognava a indossarla. Al primo giorno si presentò così: sentite, ho fatto i conti, per quello che io valgo, e per quello che mi passa lo Stato, io non vi posso fare più di sei lezioni l’anno. Quindi io vi faccio sei lezioni e poi basta. Siccome gioco molto - era un giocatore di grandissima razza - ho bisogno di recuperare sonno, facciamo patti chiari e amicizia lunga: io arrivo in classe, voi chiudete le finestre e io dormo. Voi fate quel casino medio, sopportabile, in modo che si capisca che io sono in classe. Fece le prime sei lezioni, spettacolari, straordinarie, capii tante cose della nostra lingua e della nostra letteratura. Così metà della classe rimase in sospeso quando annunciò: con ciò finiscono le mie lezioni. E no, professore, si ribellarono i miei compagni, lei non può fare in questo modo. Lui disse: ci possiamo mettere d’accordo, mi pagate. Professore, ma noi non abbiamo soldi. Vi tassate e mi fate trovare sulla cattedra un pacchetto di Milit, erano le sigarette di allora, le peggiori; e noi gli facevamo trovare le Milit. Io non ho mai capito, se non nell’età adulta, il meccanismo di questa richiesta. Neppure uno psicoanalista avrebbe potuto pensarla così fine. Noi a quel punto pretendevamo la lezione fino all’ultimo minuto, perché l’avevamo pagata noi. E così andammo avanti per tre anni al liceo» (Andrea Camilleri).