Silvia Bizio su la Repubblica del 28/07/01 a pagina 38., 28 luglio 2001
Dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, i navajo pronti ad arruolarsi furono respinti perché molti comandanti non si fidavano di loro: alla fine, l’ingegnere della marina Philip Johnston (che era cresciuto in una riserva navajo) ebbe l’idea di usare la loro lingua come codice crittografico
Dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, i navajo pronti ad arruolarsi furono respinti perché molti comandanti non si fidavano di loro: alla fine, l’ingegnere della marina Philip Johnston (che era cresciuto in una riserva navajo) ebbe l’idea di usare la loro lingua come codice crittografico. I navajo arruolati furono 3.600: 420 divennero crittografi e radiofonisti e gli vennero affidate le comunicazioni nel Pacifico. Il segreto della lingua navajo è che il significato delle parole cambia a seconda delle tonalità con cui vengono pronunciate e una sola parola può corrispondere a un’intera frase. I radiofonisti dovevano tradurre ogni parola in inglese, usando la prima lettera per comporre l’espressione voluta: le parole navajo "wol-la-chee" (ant, formica), "be-la-sana" (apple, mela), "tse-nill" (axe, accetta), valevano tutte per la lettera "a". Per dare un nome ai moderni macchinari, i navajo utilizzarono 600 nuove parole prese dalla natura: i bombardieri divennero "jaysho", "avvoltoi"; le bombe "ayeshi", "uova"; i sottomarini "beshlo", "pesci di ferro"; gli aerei spia "neashai", "civette". I nomi dati ai nemici: i giapponesi erano "Benhaalitsisiem", "occhi a fessura"; Hitler "Daghailchiih", "baffo puzzolente"; Mussolini "Adee’yaats’iin Tsoh", "mento grosso come una zucca vuota". Il codice rimase segreto fino al 1968 perchè il Pentagono sperava di poterlo riutilizzare. Il 17 settembre 1992 il governo americano riconobbe il contributo navajo e venne inaugurata una mostra con fotografie, attrezzature e il codice originale, tuttora aperta al pubblico.