3 agosto 2001
Per quanto possa apparire singolare, nell’arena non scendevano solo gli uomini, ma anche le donne, che a volte si esibivano, sia nei combattimenti gladiatorii sia nelle ”cacce”
Per quanto possa apparire singolare, nell’arena non scendevano solo gli uomini, ma anche le donne, che a volte si esibivano, sia nei combattimenti gladiatorii sia nelle ”cacce”. Di una di queste combattenti, di nome Mevia, parla Giovenale: a seno nudo, scrive il poeta, Mevia inseguiva nell’arena un branco di cinghiali toscani. Un bassorilievo, conservato al British Museum, raffigura lo scontro tra due gladiatrici, armate di corazza e di scudi. E recentemente alcuni archeologi, scavando in una zona lungo la riva meridionale del Tamigi, hanno trovato una tomba, che hanno identificato con quella di una gladiatrice. L’interpretazione è ardita, e forse troppo fantasiosa ma, anche se non volessimo prestarvi fede, l’esistenza di donne gladiatrici è comunque provata. Oltre a meravigliare, questa constatazione ha suscitato non poche curiosità: l’esercizio della gladiatura, oltre all’allenamento, richiedeva coraggio. Chi potevano essere le donne gladiatrici? Da quale ceto provenivano? Quali erano le loro motivazioni? E come reagivano gli spettatori di fronte a donne combattenti? Per quanto riguarda le motivazioni, non è difficile immaginare che, a prescindere da qualche eccentrica nobildonna, le gladiatrici fossero ragazze di modesta origine, spinte dalla necessità economica. Per quanto riguarda il modo in cui la loro attività era percepita, a Roma, va rilevato che, per i romani, la donna virile era uno stereotipo letterario: gli scrittori, soprattutti satirici, amavano beffarsi delle donne che emulavano i comportamenti maschili. Per molti spettatori dunque, le donne gladiatrici erano probabilmente uno spettacolo comico, in modo diverso paragonabile a quello offerto dai combattimenti di gladiatori nani.