Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2001  agosto 09 Giovedì calendario

Nato a Maratona nel 101, mentre Traiano guidava le sue legioni contro i Daci, Erode Attico morì nel 177, sotto il regno di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo

Nato a Maratona nel 101, mentre Traiano guidava le sue legioni contro i Daci, Erode Attico morì nel 177, sotto il regno di Marco Aurelio, l’imperatore filosofo. Fu l’uomo più ricco di tutto l’impero romano: «Un miliardario da favola, con più soldi di Rockefeller, Onassis e Berlusconi messi insieme. Ma anche un intellettuale raffinato e un politico influente, console di Roma, arconte di Atene, governatore delle città d’Asia: uno che dava del tu agli imperatori e si permetteva pure, se era il caso, d’insultarli». Con i suoi soldi riempì la Grecia di monumenti (è opera sua lo stadio di Delfi) e si costruì dimore di gran lusso ai quattro angoli dell’impero: sul Cefiso, vicino ad Atene, come sulla via Appia, a Roma. Ma il suo rifugio era ad Eua, un borgo sperduto nella regione dell’Arcadia, dove viveva in una villa impreziosita da mosaici e marmi, tra giochi d’acqua e ninfei, piena di capolavori rastrellati in Asia e in Grecia e sorvegliata da un piccolo esercito privato. Qui organizzava banchetti lussuosi e si esercitava nell’arte della retorica, di cui era maestro: lo chiamavano "il re degli oratori" e suo allievo fu lo stesso Marco Aurelio (che gli restò legato per tutta la vita: gli scriveva anche tre volte al giorno). Erode vantava la sua famiglia come «la più nobile di tutta la Grecia» (tra i suoi antenati anche il più grande degli eroi omerici, Achille, e Milziade, l’eroe di Maratona). Suo nonno Ipparco aveva ricevuto la cittadinanza romana da Nerone («un imperatore che i greci amarono molto e rimpiansero sempre»): accusato di alto tradimento dai concittadini ateniesi, fu poi spogliato del patrimonio dall’imperatore Domiziano e finì i suoi giorni in miseria. La ricchezza tornò in famiglia con il padre di Erode, che, secondo la leggenda, trovò una pentola piena d’oro nel muro di casa. «La verità dev’essere più prosaica. I Claudii Attici erano anche banchieri: e i soldi, stando ai lamenti del popolino di Atene, li prestavano a tassi da usurai». Quando morì la moglie, la nobildonna romana Appia Annia Regilla, Erode fece costruire un monumento funebre maestoso, l’Odeon, stadio panatenaico tutto di marmo bianco, il più costoso della Grecia. La cosa non lo salvò dall’accusa, ingiusta, di averla uccisa: fu trascinato in tribunale e assolto. Vide anche morire, uno dopo l’altro, cinque suoi figli: l’unico sopravvissuto, Bradua, «arrogante e d’intelligenza corta», non voleva neppure imparare a leggere, il padre dovette comprargli 24 schiavi e dare a ciascuno il nome di una lettera dell’alfabeto greco, così almeno, costretto a dire «Alfa, vieni qui» oppure «Beta, portami da bere» avrebbe forse imparato qualcosa. Non servì a molto: in punto di morte, Erode lo diseredò.