Meir Shalev, Corriere della Sera 10/08/2001, 10 agosto 2001
«Non è come in guerra: spesso il soldato non vede neppure il nemico che ucciderà. Lui no. Ha visto le sue vittime bene in faccia
«Non è come in guerra: spesso il soldato non vede neppure il nemico che ucciderà. Lui no. Ha visto le sue vittime bene in faccia. Le mamme coi loro bambini, le ragazze che parlano tra di loro, un anziano seduto al tavolo che legge il giornale. Sapeva benissimo che dopo un secondo, per sua volontà, sarebbero stati tutti una massa di carne sanguinolenta. Eppure l’ha fatto. Ci vuole un odio terribile, universale, qualcosa che per me è inconcepibile. Non so se dire che il terrorista manca di ogni moralità o che altro. Ammetto che non lo capisco, è diverso da me anni luce. Allora torno a un vecchio concetto: ”Facciamo la pace non l’amore”. Volevo dire che con i palestinesi occorreva cercare un accordo, non la fratellanza. Oggi come allora penso che le cose non siano mutate. Non mi vanno bene i pacifisti che insistono sulla necessità di amare i nostri vicini. No. Semplicemente voglio che non mi sparino più contro, voglio la separazione, li sento diversi. Ecco cosa ci vuole: un contratto di vicinanza, come quelli che si stipulano tra avvocati durante i divorzi» (Meir Shalev).