Claudio Rendina su la Repubblica del 26/08/01 a pagina XIII della Cronaca di Roma., 26 agosto 2001
Olimpia Maidalchini, dopo la morte del marito, un viterbese assai facoltoso che la lasciò erede a vent’anni di notevoli ricchezze, a metà del Seicento convolò a nuove nozze con il marchese Pamphilio Pamphilj
Olimpia Maidalchini, dopo la morte del marito, un viterbese assai facoltoso che la lasciò erede a vent’anni di notevoli ricchezze, a metà del Seicento convolò a nuove nozze con il marchese Pamphilio Pamphilj. Trasferitasi a Roma, se ne andò ad abitare a piazza Navona, ebbe due figli e restò di nuovo vedova. Per ovviare alla mancanza di appoggi e alla situazione d’isolamento in cui si trovava in una città dominata dai Barberini e da Urbano VIII, finanziò l’ascesa del cognato, Giovanni Battista, puntando il patrimonio sulla sua carriera ecclesiastica, che lo portò, nel 1644, a raggiungere il trono pontificio col nome di Innocenzo X. Allora Donna Olimpia, detta la Pimpaccia, diventò «una specie di papessa», arbitra dei favori che il cognato dispensava seguendo i suoi consigli: era Olimpia, secondo un gioco di parole popolare, la «porta» che bisognava «ungere» se si voleva ottenere qualcosa. La Pimpaccia si arricchì così tra imbrogli, furti, prebende, e usò il denaro per farsi costruire una dimora principesca, il Palazzo Pamphilj. Sempre più detestata dal popolo (che «guarda il suo palazzo con occhio avido, come iena affamata che vede il cadavere con cui potrebbe sfamarsi», annota un cronista del tempo), al punto che gli sbirri vi montavano la guardia giorno e notte, Olimpia ebbe l’idea di trasformare in giardino piazza Navona e fece sgomberare senza esitazioni «tutti li fruttaroli, li rigattieri, li libbrari e altri rivenditori». Bernini realizzò così la fontana dei Fiumi con l’obelisco, la fontana del Moro e quella dei Calderari. Poi vi si organizzarono feste, fuochi d’artificio e, ogni sabato sera d’agosto, un lago. Intorno si gonfiò intanto il malcontento popolare: le pasquinate contro la Pimpaccia si moltiplicarono, ma lei non se ne preoccupava e commentava: «Ar cavallo biastimato j’ariluce er pelo». Quando il papa morì, il 7 gennaio 1655, Olimpia fuggì portandosi via le due cassette piene d’oro che il cognato teneva sotto al letto e guidando personalmente, a folle velocità, la carrozza.