Simona Vigna su Sette 35/2001., 30 agosto 2001
Negli Usa vanno di moda i ristoranti dove si mangiano esclusivamente elaborati piatti a base di verdure crude
Negli Usa vanno di moda i ristoranti dove si mangiano esclusivamente elaborati piatti a base di verdure crude. Charlie Trotter, proprietario dell’omonimo ristorante di Chicago, autore di un libro di 200 ricette «sensuali e appaganti»: «Il mio goal è servire una cena a un buongustaio e non fargli capire che è cruda, almeno fino alla quinta portata». Esempi di menu: ravioli di jicama (croccante e sugoso tubero messicano) ripieni di conserva di melanzane, cime di rapa e kohlrabi (coltivato anche in Italia, appartiene alla famiglia dei cavoli); ocra (vegetale molto usato in India) marinata in sale marino con zucchine tailandesi e salsa di pera. Sul tavolo di lavoro: deidratatori (essenziali per dare al cibo una sorta di falsa cottura) e miscelatori (per rendere omogenei noci e semi). I tempi di lavorazione sono lunghissimi, ad esempio per una "testa d’aglio gigante al vapore" ci vogliono sei ore. Complicata anche la ricerca degli ingredienti (nei supermercati asiatici oppure nei siti Internet): per i vermicelli dello chef Thomas Keller (una specie di pasta di peperoni) gli ingredienti indispensabili sono ventisette. Tanta fatica è tuttavia ben ripagata: una cena costa fino a duecento dollari a testa. Negli States il vate del crudo è un Juliano di anni 29 autore del volume "The uncook Book". Due volte a settimana insegna l’arte del "non cotto" a decine di proseliti, dopodiché apre le porte della scuola di Santa Monica e fa gustare le pietanze a chiunque ne abbia voglia (molti i vip). Prezzo: 20 dollari a testa, compreso un sottofondo di tecnomusic e l’aria profumata di clorofilla.