Alberto Cairo, la Repubblica 02/12/2001, 2 dicembre 2001
«Mentre usciamo una donna mi saluta. Capisco che mi conosce, la voce e le mani sono giovani. Ha un fagotto in braccio, un bambino presumo
«Mentre usciamo una donna mi saluta. Capisco che mi conosce, la voce e le mani sono giovani. Ha un fagotto in braccio, un bambino presumo. un’amputata. Attraverso il burqa farfuglia che il piede della protesi è rotto... Vedo che vorrebbe parlare, farsi riconoscere. Ma c’è troppa gente. La ritrovo al reparto femminile un’ora dopo. Ma chi non ricorda Adelà! Il fagotto adesso è aperto e una meraviglia bionda si guarda intorno con occhi color cielo. ”Otto mesi, maschietto, Omar”. Orgogliosa. Le fisioterapiste fanno festa. L’avevamo persa di vista. Orfana, a 14 anni perde una gamba mentre raccoglie la legna. Una mina, naturalmente. Vive con la sorella e il cognato che ripara le biciclette. Mangiapane a sbafo, l’accusano. Quante volte a piangere da noi. Per cinque mesi lavora qui, taglia la plastica e la salda... Mantiene tutti. Improvvisamente ci annuncia che si sposa. Tutto combinato dal cognato. Il marito ha quasi quarant’anni di più, è un mullah. Terza moglie, in un villaggio sui monti. Quando parte, le ragazze piangono come fontane. La vediamo persa. E avevamo torto. Il marito l’adora, le altre mogli, grandi e senza figli, l’adottano e non le lasciano sollevare uno spillo da terra in casa. Omar è un principino. Lei una principessa che diventerà regina col secondo figlio. Orecchini, collane e bracciali d’oro. Li ha messi tutti. Vestita di colori sgargianti, profumata, trucco no, il mullah non lo vuole. La protesi è riparata. Dice che non le va stretta. Strano, ha preso almeno dieci chili. E sono baci e abbracci con tutti. Arrivederci. Alla prossima gamba» (Alberto Cairo, medico della croce rossa internazionale a Kabul)