Eva Cantarella sul Corriere della Sera del 17/12/01 a pagina 14., 17 dicembre 2001
Nella Roma antica i padri avevano il terrore di essere ammazzati dai figli, tanto che per i parricidi era stata escogitata una "pena del sacco" particolarmente crudele: l’assassino veniva chiuso in un contenitore di cuoio o di tela coperta di pece (per impedire il passaggio dell’aria) in compagnia di un cane, un gatto, una scimmia e una vipera
Nella Roma antica i padri avevano il terrore di essere ammazzati dai figli, tanto che per i parricidi era stata escogitata una "pena del sacco" particolarmente crudele: l’assassino veniva chiuso in un contenitore di cuoio o di tela coperta di pece (per impedire il passaggio dell’aria) in compagnia di un cane, un gatto, una scimmia e una vipera. Dopodiché veniva caricato su un carro nero trainato da buoi del medesimo colore e gettato nelle acque del Tevere. Secondo la legge romana nessuno era soggetto di diritto finché aveva ancora in vita un ascendente maschio: un figlio dunque, quale che fosse la sua età, non poteva avere un personale patrimonio ma andava avanti con le somme elargite dal padre. Di qui, il desiderio dei giovani di liberarsi il più presto possibile dei genitori: «A tuo figlio sei già d’ingombro - ricorda Giovenale - e stai veramente aspettando troppo per realizzare i suoi desideri: la tua ostinata vecchiezza lo tortura». Una legge del 55 avanti Cristo ordina di punire come parricida chiunque abbia comprato del veleno per uccidere il padre, anche qualora non l’abbia somministrato (la pena fu poi estesa anche a chi aveva dato soldi in prestito sapendo a quale scopo erano destinati). Il problema, comunque, non fu risolto: secondo Tacito e Svetonio, l’imperatore Claudio fu costretto ad applicare la pena del sacco così spesso che questo supplizio divenne più frequente della crocifissione.