Luca Bresciani, Fuori Luogo 28/12/2001, 28 dicembre 2001
«Viene da chiedersi, a questo punto, quanto possa ritenersi conforme a questa visione della pena ”costituzionale” la condizione della pena di chi, come Sofri, giudicato per un reato di omicidio commesso il 17 maggio 1972, si trovi a essere condannato a ventidue anni di reclusione con una sentenza che è divenuta definitiva il 22 gennaio 1997
«Viene da chiedersi, a questo punto, quanto possa ritenersi conforme a questa visione della pena ”costituzionale” la condizione della pena di chi, come Sofri, giudicato per un reato di omicidio commesso il 17 maggio 1972, si trovi a essere condannato a ventidue anni di reclusione con una sentenza che è divenuta definitiva il 22 gennaio 1997. Già si fatica a intravedere le ragioni di una pena tanto severa a distanza di un così ampio lasso di tempo dalla commissione del fatto: ricondurne la giustificazione al parametro della prevenzione generale significherebbe piegare la detenzione a finalità estranee alla norma costituzionale, con il conseguente sacrificio del singolo attraverso l’esemplarità della sanzione. Il tutto in aperto contrasto con l’esclusività e l’assolutezza del principio rieducativo. Se poi ci si sofferma sulla personalità del condannato, che gli stessi giudici non esitano a riconoscere come pienamente integrato nella società, diventa veramente difficile identificare le motivazioni di un’espiazione che non siano riconducibili a una percezione della pena intesa come meramente retributiva» (Luca Bresciani, docente di diritto penitenziario all’università di Pisa)