Copyright Le Monde Traduzione a cura del Gruppo LOGOS Nicole Vulser La Stampa del 3/01/02 Pag. 18, 3 gennaio 2002
I tycoon, questi re del mondo che troneggiano sulle televisioni, la stampa e il cinema, si chiamino essi Rupert Murdoch, Gerald Levin o Jean-Marie Messier per citare solo i più influenti, sono impegnati da molti anni in una vera e propria corsa al gigantismo
I tycoon, questi re del mondo che troneggiano sulle televisioni, la stampa e il cinema, si chiamino essi Rupert Murdoch, Gerald Levin o Jean-Marie Messier per citare solo i più influenti, sono impegnati da molti anni in una vera e propria corsa al gigantismo. A colpi di miliardi di dollari, questi attori del mercato, per la maggior parte americani, accentuano anno per anno i raggruppamenti in questi settori strategici. Così facendo uniformano su scala planetaria le edizioni musicali e i programmi televisivi, oltre ai film che escono dagli studi di Hollywood. Per raggiungere questo scopo giocano su una strategia verticale, che consente loro, in quanto presenti in ogni fase (programmazione, produzione, distribuzione), di rafforzare il proprio predominio in un singolo settore, come avviene per il Gruppo Disney o, su scala ridotta, per Canal+. Oppure puntano su una concentrazione orizzontale, investendo in settori diversificati per favorire l’avvicinamento tra settori inizialmente lontani come l’audiovisivo e le telecomunicazioni. Ed è esattamente puntando sulla scommessa della complementarietà e della convergenza che General Electric ha acquisito fin dal 1986 la rete televisiva americana NBC, o che il colosso americano delle telecomunicazione AT&T ha acquisito il controllo, nel 1999, dell’operatore via cavo TCI, poi nel 2000 di MediaOne prima di rivendere, lo scorso 20 dicembre, la sua società via cavo a Comcast. Tuttavia, il concetto stesso di «convergenza», che in questi ultimi anni ha nutrito le speranze più ardite in un´economia globalizzante, basata su ipotesi di sinergie tra i «contenuti» - brutta parola per designare tanto un film come un articolo di giornale - e i «contenenti» (il cavo, il satellite, Internet ecc.), sembra essere sopravvissuto. Questa «convergenza» è servita soprattutto a giustificare con un termine alla moda un’autentica bulimia di acquisizioni in serie. Anche la crisi di Internet sembra avere contribuito al flop di questa miscela. L’anno 2001 è stato segnato da un serio rallentamento della crescita degli introiti pubblicitari, con un immediato effetto negativo sulla redditività della stampa e delle reti televisive in chiaro. Per questo motivo gruppi come Vivendi Universal si vantano di trarre dalla pubblicità non più del 4% delle loro entrate. Tuttavia tutti gli osservatori sono concordi nel definire questa crisi come congiunturale, tanto che Zenith Media, quarta agenzia di acquisto di spazi pubblicitari a livello mondiale, scommette su una ripresa alla fine del 2003, dopo un calo del 6% nel 2001, peraltro già contenuto all1% nel 2002. Paradossalmente, le televisioni a pagamento restano in gran parte in deficit, sebbene il numero di abbonati continui ad aumentare. «La serie di canali tematici britannici BSkyB di Rupert Murdoch è in rosso, come del resto le filiali internazionali di Canal+ o la maggior parte delle nuove piattaforme digitali», sottolinea Gilles Fontaine, direttore del dipartimento di economia e dei mass-media presso l’Istituto dell’audiovisivo e delle telecomunicazioni in Europa (Idate). «In Europa nessun operatore via cavo importante è in grado di beneficiarne», aggiunge. E prevede: «La sfida maggiore sarà quella intrapresa dall’operatore via cavo americano Liberty Medias e il fondo di investimento Callahan per modificare il modello economico del cavo in Germania e renderlo un vero mercato della televisione a pagamento». Le concentrazioni sono ben lungi dal finire. Tranne per la distribuzione cinematografica, gli altri settori dei media - segnatamente le televisioni - sono ancora relativamente poco globalizzate. Questo fatto provocherà altri riacquisti in serie, che potranno essere impediti solo con regolamentazioni anti-trust nazionali sul modello americano, o direttamente dalla Commissione di Bruxelles. Esempi di questa frenesia: dal 1995, Viacom ha assorbito Paramount poi CBS, Walt Disney ha acquisito ABC, Time Warner si è fusa con Turner Broadcasting, Bertelsmann e Audiofina hanno creato la CLT-UFA. Nel 2000, AOL ha annunciato la fusione con Time Warner prima di rinunciare ad acquistare EMI Music, mentre Vivendi e Canal+ si sono fuse con Seagram. Da parte sua, Rupert Murdoch ha messo piede nella televisione a pagamento in Italia e in Germania a fianco di Leo Kirch. In questi grandi meccanismi finanziari, il concetto di "attivo strategico" è spesso effimero. I gruppi acquistano, rivendono, secondo una logica strettamente finanziaria. Per fare una concessione a Bruxelles nel caso di una fusione, rivitalizzare un indice di borsa o addirittura per evitare di essere declassati da un’agenzia di analisi finanziaria. Queste grandi alleanze provocano di solito la perdita di centinaia di posti di lavoro. Il campione in questo campo è senza dubbio Jean-Marie Messier, presidente del gruppo francese che si americanizza ogni giorno di più. Dopo aver ceduto pezzo per pezzo le vecchie attività di Havas (pubblicità, viaggi, stampa professionale), quest’anno ha acquisito colpo su colpo le edizioni scolastiche Houghton Mifflin, USA Networks e il 10% del gruppo satellitare Echostar. Per poter competere alla pari con i colossi statunitensi, gli manca ancora una vera rete televisiva nazionale americana, come invece hanno già Disney con ABC, Viacom con CBS, General Electric con NBC o Rupert Murdoch con Fox. Senza considerare che è alquanto difficile, per dei francesi, mostrare agli americani come fare un film a Hollywood, così come è arduo per degli americani insegnare ai bordolesi come fare un buon vino. per questa ragione che il presidente di Vivendi Universal ha affidato le redini dell’audiovisivo e del cinema a un noto professionista di Los Angeles, Barry Diller. Tutti i grandi magnati incontrano difficoltà più o meno corpose. Rupert Murdoch non è riuscito l’estate scorsa a mettere le mani su DirecTV, primo gruppo satellitare americano. La questione della sua successione si fa sempre più spinosa: il suo terzo matrimonio con una giovane cinese, Wendy Deng, e la recente nascita della loro figlia non faciliteranno certo le cose. Il numero uno mondiale, AOL Time Warner, non aveva previsto che la concorrenza sarebbe arrivata da Microsoft e pensava che l’egemonia della CNN fosse inattaccabile. Bertelsmann da parte sua non poteva certo prevedere una tale crisi di Internet e di dover rivedere la sua strategia. Di fronte a questi giganti che controllano tutti i settori della comunicazione nel mondo e tendono ad americanizzarli, i pesi medi, come Leo Kirch in Germania, Sony, TF1 o le televisioni pubbliche come l’ARD in Germania, la BBC in Gran Bretagna o la NHK in Giappone, sembrano costretti all’orticello delle strategie nazionali. Ma la cosa più preoccupante è che l’esistenza stessa dei gruppi più piccoli, come già avviene nel campo musicale o dell’editoria, viene messa a repentaglio da queste ondate di concentrazioni e acquisizioni. E poi si parlava di diversità culturale? Copyright Le Monde Traduzione a cura del Gruppo LOGOS Nicole Vulser