Ivo Andric, "Il ponte sulla Drina", Mondadori, 7 gennaio 2002
Vuole la leggenda che quando un bambino, tra i tanti che nella Bosnia ottomana le soldataglie turche rapivano per portare a Istambul, divenne Pascià, realizzò un desiderio per sanare una lacerazione che aveva nell’anima
Vuole la leggenda che quando un bambino, tra i tanti che nella Bosnia ottomana le soldataglie turche rapivano per portare a Istambul, divenne Pascià, realizzò un desiderio per sanare una lacerazione che aveva nell’anima. Costruire un ponte sulla Drina che collegasse le due sponde del fiume. Lì dove sua madre, che disperatamente lo seguiva per salvarlo, si era dovuta fermare e arrendersi. Intorno a questo magnifico ponte, si snoda la vita della gente di Visegrad, musulmani, cristiani ed ebrei, divisi nelle aspirazioni, ma uniti nei destini. Dalla fine della dominazione turca, alla nascita di un regno jugoslavo indipendente, passando per il periodo di occupazione asburgica. Narratore per eccellenza delle vicende storiche dei popoli bosniaci e delle loro lotte intestine, specie in Lettera del 1920 e in altri racconti sarajevesi, Ivo Andric nasce nel 1892, a Travnik, da un modesto artigiano cattolico, morto precocemente. Studia, durante l’occupazione asburgica, a Zagabria, Vienna e Cracovia seguendo soprattutto corsi di filosofia. Fa parte di gruppi nazionalisti entrando in contatto con quello che organizza l’attentato di Sarajevo nel ’14. Viene arrestato, e graziato nel ’17. Si stabilisce a Zagabria, dove fonda una rivista nazionalista. Dopo la prima guerra mondiale si trasferisce a Belgrado e inizia la carriera diplomatica. a Trieste, Roma, Bucarest, Madrid, Bruxelles e Ginevra, infine a Berlino durante il nazismo. Allo scoppio del secondo conflitto si isola e scrive. Muore nel marzo del 1975, dopo avere ottenuto tra l’altro il Nobel nel ’61.