Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera del 31/12/01 a pagina 6., 31 dicembre 2001
In letteratura il primo a scrivere della lira, corrispondente a una libbra d’argento, fu Boccaccio: nel "Decamerone" fissò a «lire cento la quota minima perché una gentildonna potesse sposare la sua figliola o perché un gentiluomo fosse in grado di acquistare un podere» oppure «a dugento una buona eredità»
In letteratura il primo a scrivere della lira, corrispondente a una libbra d’argento, fu Boccaccio: nel "Decamerone" fissò a «lire cento la quota minima perché una gentildonna potesse sposare la sua figliola o perché un gentiluomo fosse in grado di acquistare un podere» oppure «a dugento una buona eredità». Lorenzo de’ Medici e Poliziano usarono il termine lira solo nell’espressione «dare tre lire», col significato di «possedere carnalmente». Foscolo si dichiarò male in arnese dovendo sopravvivere con «64 lire il mese, senza casa, e malato della mia antica infermità», mentre il contemporaneo Pietro Verri amava confrontare le diverse valute: «Centomila franchi sono centocinquantamila lire, al tre per cento fanno la rendita annua di quattromilacinquecento lire milanesi». Per Fogazzaro 2.200 lire erano, nel 1881, «uno stipendio molto rispettabile», secondo Collodi nel 1883 il Direttore di una compagnia di pagliacci avrebbe venduto «un somaro azzoppato di nome Pinocchio» per venti lire, De Amicis, dieci anni più tardi, considerava che «un vestito di lanetta semplicissimo costò a Pedani non più di 30 lire, con la fattura». Il Mattia Pascal di Pirandello fuggì dalle mura domestiche con «le 500 lire del fratello che dovevano servire per la sepoltura della mamma», il libro di Federigo Tozzi "Con gli occhi chiusi" si apriva con le dita di un oste che tenevano 2 biglietti da 50 lire. Trilussa, a una banconota da 100 lire, dedicò una poesia: «Un bijetto da Cento diceva: è più d’un mese che giro ’sto paese... ».