Giovanni Berlinguer, "Le mie pulci", Editori Riuniti, 1988, 21 gennaio 2002
All’inizio degli anni Sessanta mi prese un intenso prurito (intellettuale) per le pulci, e decisi di studiarle a fondo limitando però il mio campo di ricerca (l’oggetto sarebbe stato, altrimenti, troppo vasto) alle pulci italiane
All’inizio degli anni Sessanta mi prese un intenso prurito (intellettuale) per le pulci, e decisi di studiarle a fondo limitando però il mio campo di ricerca (l’oggetto sarebbe stato, altrimenti, troppo vasto) alle pulci italiane. Per un amore improvviso, come per una vocazione, non si deve cercare una spiegazione razionale. Ma essendo trascorso un quarto di secolo, ed essendo da tempo scomparso il mio prurito per le pulci, posso ora più serenamente indagarne le cause. Una fu certamente l’ambiente in cui lavoravo. Ero aiuto nell’Istituto di Parassitologia, Università di Roma; e le pulci, si sa, son parassiti. L’altra fu il momento della mia carriera accademica: ero giunto alle soglie del concorso per la cattedra, ma la mia produzione era valutata alquanto compromettente, perché l’impronta sociale straripava da ogni lavoro. «Scriva qualcosa di scienza pura», mi consigliavano. Provai perciò a dedicarmi ai vermi intestinali: ma la purezza di questo argomento fu nuovamente inquinata dal fattore sociale, quando scoprii che le parassitosi da cui erano afflitti i bambini in una borgata della provincia romana (Carchitti, comune di Palestrina) erano quasi scomparse con il passaggio delle loro famiglie in abitazioni decenti, senza bisogno di altre cure; e lo scrissi.