Giovanni Berlinguer, "Le mie pulci", Editori Riuniti, 1988, 21 gennaio 2002
Alla London School, dicevo, studiai gli allevamenti di pulci. Non vi è bisogno di una sezione dell’Avis (volontari del sangue), con generosi donatori che si prestino a fornire il nutrimento
Alla London School, dicevo, studiai gli allevamenti di pulci. Non vi è bisogno di una sezione dell’Avis (volontari del sangue), con generosi donatori che si prestino a fornire il nutrimento. Nei laboratori si usa sangue secco (proveniente da macelli, spero) che viene collocato al fondo di recipienti cubici di vetro di dimensioni 60 x 60 x 60 centimetri, sufficienti ad impedire l’evasione per salto, aperti verso l’alto e brulicanti in basso di migliaia (o milioni?) di insetti. Pensai malignamente a quel che sarebbe accaduto versandone il contenuto dai balconi interni del salone principale di Buckingham Palace, durante un ballo di corte, sulle coppie che danzavano il galop. Lo pensai non perché sono un repubblicano perverso e accanito, ma perché figlio di un avvocato penalista sardo. Mi sovvenne improvvisamente, infatti, un processo in cui mio padre aveva sostenuto la parte civile per un caso analogo. Fra due famiglie vicine di casa residenti in Sorso, una cittadina accanto a Sassari, dove i maligni affermano che la fonte d’acqua chiamata Billellera produce persone stravaganti e insane di mente (anch’io ho qualche avo che è nato in quel comune, e che ha bevuto a quella fontana), scoppiò una lunga lite con ripicche e dispetti che non terminavano più. Una delle famiglie infine, stufa di questa guerra, decise di cambiare casa e si trasferí, passando coi carri carichi di mobili, materassi e masserizie sotto le finestre del nemico. Da queste, piovvero sui carri molti strani cartoccetti. Nella nuova casa, la famiglia emigrata ebbe l’orrore, poco dopo l’insediamento, di constatare un’infestazione massiva di cimici. La famiglia vittoriosa non si era accontentata di restare padrona del campo: aveva allevato con pazienza migliaia di Cimex luctularius per incartarle (come faceva Noè nell’arca con pulci e pidocchi) e poi scaraventarle sull’avversario in fuga. Un esempio casareccio di quel che potrebbe diventare in futuro la guerra biologica, che peraltro cominciò proprio con le pulci. Il primo episodio registrato nella storia avvenne a Caffa, colonia genovese in Crimea, nel 1346. La città era assediata dai tartari e il loro khan, con l’esercito decimato dalla peste, ricorse all’estremo rimedio: con le catapulte fece gettare al di là delle mura i cadaveri dei propri soldati, e con loro le pulci. I genovesi fuggirono presto dalla città, portando nelle loro navi gli insetti, i ratti e la peste. Cominciò cosí la grande epidemia del Trecento.