Masolino d’Amico su La Stampa del 09/01/02 a pagina 23., 9 gennaio 2002
«Flaiano non parlava e non scriveva mai d’impulso; Flaiano dedicava grandi cure alla forma da dare alla sua idea; alle origini dell’effetto di naturalezza e di spontaneità prodotto da tutta la sua prosa c’è una elaborazione paziente e segreta
«Flaiano non parlava e non scriveva mai d’impulso; Flaiano dedicava grandi cure alla forma da dare alla sua idea; alle origini dell’effetto di naturalezza e di spontaneità prodotto da tutta la sua prosa c’è una elaborazione paziente e segreta. Questa elaborazione lui la mascherava da accidia. Il Mastroianni che nella "Dolce vita" si chiude a Fregene per scrivere un romanzo ma poi non ha voglia e si gingilla e non combina niente è Flaiano stesso: l’autobiografia di Flaiano nei film di Fellini è presente quanto quella di Fellini. Fu Flaiano e non Fellini, per esempio, a essere mandato in collegio solo soletto, da bambino, come il protagonista di "Otto e mezzo". Flaiano diceva, "E’ da allora che non sopporto le costrizioni. Se qualcuno mi dice, "da qui non esci", io mi butto immediatamente dalla finestra". Ma tornando al dunque. Come si sa, gran parte dell’attività degli sceneggiatori cinematografici di una volta consisteva nel non fare apparentemente nulla; nel chiacchierare del più e del meno, nel tergiversare, in attesa dell’arrivo dell’idea. Questo, durante le riunioni di gruppo, dopodiché ciascuno a casa doveva buttar giù le sue paginette. Be’, Flaiano ostentava di continuare a oziare anche dopo, anche a casa, da cui spesso riemergeva a mani vuote. Inoltre alimentava ulteriormente la propria fama di fannullone pubblicando pochissimo, quasi soltanto, finché visse, qualche raccolta di pezzi già usciti sui giornali, dopo il suo romanzo di esordio, vincitore del primo Premio Strega. Poi però dopo morto sorprese tutti lasciando cassetti letteralmente traboccanti di tesori. Allora si vide che quando diceva e magari persino credeva di non star facendo niente - di ingannare il tempo - in realtà cesellava piccole gemme perfette, poesie, calembours, aforismi semplici ma definitivi che non sempre poi adoperava, e di cui talvolta faceva omaggio a qualche persona amica; persino a dei ragazzini com’eravamo io e mia sorella quando lo conoscemmo» (Masolino d’Amico).