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 2002  gennaio 12 Sabato calendario

«Francis Scott Fitzgerald odiava la gente e la adorava. Amava e odiava i ricchi, i belli, i dannati, le notti insonni, le feste affollate, il bourbon, il jazz

«Francis Scott Fitzgerald odiava la gente e la adorava. Amava e odiava i ricchi, i belli, i dannati, le notti insonni, le feste affollate, il bourbon, il jazz. Odiava e amava Zelda, troppo geniale per essere una moglie, troppo folle per essere un genio. Fitzgerald fu uno scrittore in perenne crepuscolo. La sua vita, come i suoi romanzi, fu dominata da un unico tema, il declino fatale - un preciso progetto, una specie di talento che aveva sviluppato leggendo Conrad, il Negro del Narcissus. Da studente a Princeton aveva preso a pettinare i capelli biondi all’indietro, con la scriminatura nel mezzo, e a portare sottili cravatte di maglia a righe orizzontali. Fu un dandy, un poeta, un alcolista. Quando beveva la sua felicità si avvicinava a un’estasi tale che non poteva condividerla con nessuno, nemmeno con Zelda, ma doveva portarla a spasso per strade e vicoli appartati, fino a distillarne qualche goccia fra le righe dei suoi libri. Fitzgerald pensava che scrivere volesse dire ridurre se stessi all’osso, lasciando ogni volta qualcosa di più sottile, di più spoglio, di più scarno. Una volta Gertrude Stein gli disse: passiamo il tempo a lottare contro le nostre qualità finché non arriviamo a quarant’anni e allora, troppo tardi, scopriamo che costituivano la parte migliore della nostra personalità. Fu quello che accadde a Fitzgerald. A dodici anni passava le ore di lezione a istoriare di racconti i margini dei manuali di geografia e di latino, i bordi dei temi, degli esercizi di grammatica, dei problemi di matematica. Pubblicitario a New York per novanta dollari al mese, inventò slogan da dipingere sui tram di provincia. Scrisse di tutto, soggetti per il cinema, parole di canzoni, musical, sketch, barzellette. La sua vita fu la storia della lotta fra un imperioso bisogno di scrivere e una serie di circostanze che tendevano a impedirglielo. Chi intravedeva quell’uomo bellissimo barcollare da un vizio all’altro non sapeva di avere davanti il più straordinario virtuoso della letteratura americana» (Silvia Ronchey).