La Macchina del Tempo, n. 12 dicembre 2001 pagg. 96-99, 12 dicembre 2001
Bingham era arrivato in Perù nel 1909 e nel 1911 si sentì pronto. Aveva ricevuto dei soldi dall’Università di Yale e con quelli mise in piedi una spedizione
Bingham era arrivato in Perù nel 1909 e nel 1911 si sentì pronto. Aveva ricevuto dei soldi dall’Università di Yale e con quelli mise in piedi una spedizione. Obiettivo: trovare Vilcabamba. La carovana partì da Cuzco e risalì l’unica mulattiera che al tempo fiancheggiava le rive del fiume Urubamba: un sentiero impervio soffocato da una vegetazione rigogliosissima. Una sera, dopo diversi giorni di ricerche senza esito, avvenne il miracolo. Mentre Bingham e i suoi uomini si apprestavano come consuetudine a fissare lungo le sponde del fiume le tende, dal folto della boscaglia spuntò un campesino locale, un ragazzo di nome Melchor Arteaga, che già da qualche giorno stava furtivamente sui loro passi. Si presentò a Bingham e i due raggiunsero subito un’intesa. In cambio di un po’ di soldi e di qualche bicchiere il giovane Arteaga avrebbe accompagnato l’archeologo sulla cima di una montagna, dove si ergevano le rovine di un’antica città. L’indomani, effettivamente, si misero in cammino lungo un tratto ripidissimo ed estenuante, costellato di insidie. Quando giunsero in cima, si trovarono di fronte a un muro di granito alto almeno tre metri. Bingham cadde in ginocchio: aveva scoperto la mitica città di cui tutti parlavano. Ma era davvero Vilcabamba? Niente affatto. Egli aveva scoperto molto di più, aveva scoperto una città senza nome, della quale non parla nessun documento e che venne sbrigativamente chiamata Machu Picchu dal nome della montagna (’Punta bassa”) su cui sorge. Bingham non volle mai credere che non si trattasse di Vilcabamba. Ed ebbe torto: le carte lasciateci dagli spagnoli mostrano senza ombra di dubbio che Vilcabamba deve essere dalla parte opposta, rispetto a Cuzco.