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 2002  gennaio 23 Mercoledì calendario

«Non importa se è conciato male. Se è gonfio, rintontito, malato. Se tutti davanti a lui fanno finta di ridere, ammazzati dalla felicità, per poi voltarsi e piangere per le carognate che fa la vita

«Non importa se è conciato male. Se è gonfio, rintontito, malato. Se tutti davanti a lui fanno finta di ridere, ammazzati dalla felicità, per poi voltarsi e piangere per le carognate che fa la vita. Ma Ali a sessant’anni ancora è. Esiste per lui, per gli altri, per il mondo. E’ riconosciuto, rispettato, amato. E’ il nonno dalla carezza lenta e insicura, ma pieno di autorità. Anche così, con il Parkinson che se lo mangia... Deambula poco e male, non parla, ma gorgoglia in maniera incomprensibile, eppure tutti lo vogliono vedere e toccare. E’ il Papa del ring, è il Santo dello sport. Lui che è stato il fuorilegge dell’America, il ribelle più pericoloso, il soldato che non volle andare ad uccidere i vietcong. .. Un sorriso strepitoso, una linguaccia, senza complessi davanti ai giornalisti: ’Se non scrivi bene di me, chiamerò tua moglie e le dirò con chi vai a letto in trasferta’... Non c’è campione che negli ultimi vent’anni abbia devoluto ad una causa 55 milioni di euro, 110 miliardi di lire, non c’è sportivo (tranne forse un po’ Maradona) che si sia preso poveracci, drogati, carcerati sulle spalle e abbia anche combattuto a loro nome, non c’è personalità famosa che a 25 anni per una questione di principio abbia rovinato la sua carriera, senza farsi spaventare dalla detenzione, non c’è uomo che in nome di Allah o di un’altra religione si sia messo tutti contro sul ring o in un altro sport. Ali non ha avuto paura di mischiarsi, di schierarsi, di compromettersi. Non è stato un santo: è stato picchiato dalla moglie perché la tradiva, si è separato perché la nuova moglie non accettava i vestiti castigati dell’Islam, ha combattuto incontri che poteva evitare, ha boxato troppo e quando non doveva, ha scelto di rompere con Malcom X e di isolarlo (è il suo grande cruccio), ha dato il voto ad un governatore corrotto per fare un favore a Don King, allora suo manager. Insomma, ha peccato e sbagliato. Ma non ha mai fatto un silenzio stampa, ha sempre perso tempo con tutti, forse perché non pensava che fosse tempo perso. Trovatene un altro così, oggi. Shaquille O’Neal che molla cazzotti come una bestia inferocita, sul parquet e non sul ring? Tiger Woods che gioca a golf e che prima di fare battute deve sentire il suo ufficiostampa? Michael Jordan che insiste nel dire che sono fatti suoi, anche i suoi continui ritorni, e con cui la moglie, tradita negli ultimi quattro anni, ha continuato a convivere pur di accumulare prove e la richiesta di 400 milioni di euro, 800 miliardi di lire? Le sorelle tenniste Williams, che danno delle razziste a tutte le altre, ma non sanno nemmeno citare un posto visitato tra le città del mondo? Michael Johnson, che ritiratosi dall’atletica fa il portavoce dello sponsor e ordina di non fare domande sul doping? Quelli che nel calcio, nella pallavolo, nel basket, nel nuoto, non ti dicono per chi votano perché non si sa mai? Quelli che fuggono al primo possibile coinvolgimento? Quelli che come Tyson diventano iene depresse che non riescono a prendere la terza media? Quelli che accettano che nei ghetti malridotti e squartati dalla droga si faccia pubblicità alle loro scarpe che costano più del salario di una madre che si rompe la schiena? Ali è stato in Iran per favorire la liberazione degli ostaggi, è stato in Iraq da Saddam Hussein per vedere se poteva fare qualcosa per i bambini leucemici, ha parlato subito dopo l’attacco alle torri gemelle. Poteva trovare una, mille scuse, per non farlo, per tirarsi indietro. Gli sarà costato, ma non lo ha fatto. Ecco, Ali a sessant’anni c’è. Magari le candeline non le spegne, ma la vita ogni giorno è capace di accenderla» (Emanuela Audisio).