Eva Cantarella, La Macchina del Tempo, n. 1 gennaio 2002 pagg. 7-11, 1 gennaio 2002
Quante erano le prostitute di Pompei? Difficile dirlo. Gli edifici certamente destinati all’esercizio del mestiere erano una decina: alcune cellae meretriciae (locali adiacenti a un’abitazione privata o una locale pubblico, destinati ad accontentare in loco i clienti), e uno o forse due bordelli
Quante erano le prostitute di Pompei? Difficile dirlo. Gli edifici certamente destinati all’esercizio del mestiere erano una decina: alcune cellae meretriciae (locali adiacenti a un’abitazione privata o una locale pubblico, destinati ad accontentare in loco i clienti), e uno o forse due bordelli. L’edificio certamente costruito per essere tale, come dimostra la sua struttura, è il celebre Lupanare, all’angolo con Via del Balcone Pensile. Gestito da due lenoni di nome Africanus e Victor, era composto di due piani. Al piano inferiore, su cui si aprivano due ingressi, si trovavano una latrina e cinque piccoli locali con letti in muratura (cubicula), ornati all’esterno da pitture erotiche, che rappresentavano varie modalità di accoppiamento. Al piano superiore si trovavano altri cinque cubicula. Come rivelano i graffiti, in queste stanze lavoravano circa venti ragazze, di cui conosciamo il nome (Anedia, Aplonia, Attica, Atthis... ), e a volte anche le preferenze o la specializzazione: Myrtale, ad esempio, era specializzata nella fellatio. Ma non tutte, ovviamente, lavoravano nel bordello.