Eva Cantarella, La Macchina del Tempo, n. 1 gennaio 2002 pagg. 7-11, 1 gennaio 2002
I romani amavano molto le terme. Dietro pagamento di un biglietto d’ingresso (balneaticum) più o meno elevato a seconda del livello dello stabilimento balneare, essi vi entravano abitualmente nelle prime ore del pomeriggio per restarvi fino a sera
I romani amavano molto le terme. Dietro pagamento di un biglietto d’ingresso (balneaticum) più o meno elevato a seconda del livello dello stabilimento balneare, essi vi entravano abitualmente nelle prime ore del pomeriggio per restarvi fino a sera. Alle terme infatti non andavano solo per svolgere attività fisica o per passare il tempo. Le terme erano un luogo ove si poteva incontrare, senza bisogno di chiedere appuntamento, una persona con cui si voleva concludere un affare, dove si potevano consolidare amicizie politicamente utili, e dove per finire si potevano fare nuove conoscenze femminili: gli stabilimenti infatti erano aperti anche alle signore. Solo a Roma, in epoca imperiale, si stabilì che esse dovessero prendere i bagni in orari speciali, riservati a loro: ma anche allora l’accesso a tutti gli altri ambienti dello stabilimento rimase aperto ad ambedue i sessi. E a Pompei, comunque, le cose stavano diversamente. Uomini e donne, assieme, dopo essersi spogliati nello stesso locale, nuotavano nella stessa piscina fredda, si immergevano insieme nella vasca dell’acqua calda, sedevano insieme nel laconicum, un locale surriscaldato da un forno sistemato sotto il pavimento (oggi diremmo un ”bagno turco”); sempre assieme, senza alcun problema, sostavano nel tepidarium, un locale riscaldato con aria calda. Una libertà totale, insomma, che sorprende non poco pensando all’ immagine che i romani hanno voluto tramandarci delle loro donne. Casta, pia, domiseda, essi definivano la moglie morta, nelle epigrafi funerarie destinate a celebrarne le vitrtù. Sulla tomba di una certa Clelia, morta nel II secolo a.C., leggiamo il seguente elogio: lanam feci, domum servavi (ho fatto la lana, ho custodito la casa). Ovviamente, nessuno intende mettere in dubbio che Clelia avesse queste virtù. Ma evidentemente, per una Clelia, esistevano molte altre sconosciute matrone che, per qualche ora al giorno, si distraevano dalle più o meno pesanti cure familiari; e se per farlo frequentavano le terme suburbane di Pompei, scherzavano con gli uomini sulle pitture erotiche che ne decoravano le pareti. Una sorpesa, non c’ è che dire. Ma piacevole. Siamo contente di scoprire che anche le austere matrone romane potevano e sapevano divertirsi.