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 2002  gennaio 01 Martedì calendario

Luciana Jacobelli, che ha scavato le Terme suburbane di Pompei, racconta: «Durante i due secoli di scavi occorsi a riportare Pompei alla luce, dall’abitato della città furono riversati sul perimetro delle mura circa sei milioni di metri cubi di terreno

Luciana Jacobelli, che ha scavato le Terme suburbane di Pompei, racconta: «Durante i due secoli di scavi occorsi a riportare Pompei alla luce, dall’abitato della città furono riversati sul perimetro delle mura circa sei milioni di metri cubi di terreno. Col procedere dei lavori questa immensa massa di terreno finì per seppellire la cinta dell’antico abitato. L’opera di rimozione dei cumuli venne portata a termine fra gli anni Cinquanta e Sessanta, anche grazie alla costruzione dell’autostrada Pompei-Salerno. Dovendo infatti realizzare un grande terrapieno per sopraelevare l’arteria nel tratto Pompei-Scafati, vennero utilizzate le terre accumulate nel circuito esterno di Pompei. Nel contesto di tali lavori venne riportato alla luce anche il piano superiore delle Terme fuori Porta Marina ed emerse una magnifica fontana a mosaico raffigurante Marte attorniato da Amorini, ma gli ambienti termali rimasero inesplorati. Bisognerà attendere il 1985 per disporre dei fondi necessari alla realizzazione dello scavo, che si protrarrà per oltre due anni. All’inizio della sua esplorazione l’area delle Terme era completamente invasa da un’intricata vegetazione e da grossi cumuli di terra non ancora rimossi. Lo scavo iniziò dall’alto, svuotando gradualmente gli ambienti completamente ricolmi di terreno. Man mano che veniva rimossa la terra mista a lapillo, infiltratasi nell’edificio attraverso le grandi finestre e le volte squarciate dall’eruzione, emergevano straordinarie testimonianze archeologiche. Nello spogliatoio tornava alla luce il famoso ciclo delle pitture erotiche; nell’attiguo frigidarium si scopriva una eccezionale decorazione in stucco; lungo le pareti nord e sud riapparivano lunghe mensole decorate da elementi vegetali e amorini, su cui si imposta una volta in stucco. La parete est rivelava fastose scenografie con architetture fantastiche anch’esse in stucco, che ricordano quinte teatrali. Comunicante con il frigidarium è una piscina fredda, alimentata dalla fontana a mosaico scoperta negli anni Sessanta. Riemergevano gli affreschi intorno alla piscina, con ninfe marine ed una gran varietà di pesci, che riflettendosi nell’acqua creavano un raffinato gioco tra realtà ed illusione. Il mare, quello vero, lo si poteva ammirare dai finestroni del calidarium muniti di vetri, in parte ritrovati durante lo scavo. Tornava in luce anche l’unica grande piscina riscaldata di Pompei (m. 10 x 6), rivestita di marmi e di mosaico policromo nelle nicchie parietali. Da un’ampia breccia sul muro del calidarium l’esplorazione veniva allargata a tutta la zona dei servizi, nascosta ai clienti, dove schiavi ed inservienti conducevano il duro lavoro necessario al funzionamento dell’impianto. Questa sezione, trovata interamente ricolma di lapillo, si presentava in perfette condizioni. Consisteva in un lungo corridoio, all’inizio del quale era una latrina utilizzata dai clienti delle terme, che non mancarono di scrivere sui muri col carbone i loro nomi e le loro impressioni. Lungo le pareti del corridoio sono visibili le tracce delle funi per trasportare la legna usata come combustibile, e accantonata in un ambiente di servizio. In fondo era il praefurnium, con caldaie che contenevano acqua di diversa temperatura: bollente per la vasca del calidarium, tiepida per quella del tepidarium. Dal praefurnium i fumi caldi prodotti dall’acqua bollente venivano condotti nelle intercapedini ricavate nelle pareti e nei pavimenti delle sale termali e le riscaldavano. Proprio nel praefurnium lo scavo rivelava la sua ultima emozione. Davanti alla bocca del forno era una grossa pala, usata dall’addetto (fornacator) per aggiungere man mano nuovo combustibile. Come ogni giorno, la pala era stata poggiata dall’operaio accanto al forno a fine lavoro. Ma quel 24 agosto del 79 ciò avvenne per l’ultima volta: l’eruzione sigillava per sempre anche quel gesto consueto, quotidiano, consegnandolo a noi e alla storia 2000 anni dopo quel terribile evento».