Daria Egidi, La Macchina del Tempo, n. 1 gennaio 2002 pagg. 24-25, 1 gennaio 2002
La storia della lira cominciò 1200 anni fa, con un decreto di Carlo Magno che impose un unico sistema monetario per tutte le terre del Sacro Romano Impero
La storia della lira cominciò 1200 anni fa, con un decreto di Carlo Magno che impose un unico sistema monetario per tutte le terre del Sacro Romano Impero. Alla nuova moneta si diede il nome di ”denaro” e se ne stabilì anche il peso e il valore: con una libbra d’argento (circa quattrocento grammi) si sarebbero ottenuti 240 denari. Dunque ogni denaro avrebbe contenuto più o meno 1,7 grammi d’argento. Ben presto, però, tutti quelli che avevano a che fare con il commercio e la compravendita trovarono più semplice indicare i prezzi utilizzando proprio la ”libbra”, che divenne prima ”libra” e di lì a poco ”lira”: "una lira" al posto di "duecentoquaranta denari", oppure "dieci lire e cento denari" invece di "duemilacinquecento denari" ecc. La lira, in effetti, come moneta non esisteva fisicamente, ma nei commerci era comunemente usata, come era usato il ”soldo”, l’equivalente teorico di dodici denari e anch’esso inesistente. Ma quanto valeva una lira del tempo? Approssimativamente, con quattro denari si poteva comprare un montone, quindi con una lira si acquistava un intero gregge. certo, comunque, che l’argento era rarissimo, molto più raro di quanto non sia adesso. Di contro, s’infittivano gli scambi commerciali ed aumentava il bisogno di avere parecchie monete in circolazione. Per sopperire alle necessità, tutti i piccoli stati che si crearono dopo il crollo del regno di Carlo Magno cominciarono a coniare i propri denari, facendoli più leggeri, oppure aggiungendo all’argento altri metalli meno nobili (ad esempio il rame). Di conseguenza, per fare una lira occorrevano ancora 240 denari, che però assumevano valori differenti secondo la zona d’origine: non era raro allora sentire commercianti distinguere tra lira pavese e milanese, o lucchese, e così via. Per restituire un po’ di credibilità al denaro, ormai eccessivamente svilito, si coniarono monete di valore più elevato (il grosso, il genovino, il fiorino, il ducato, lo zecchino ecc.) accanto a quelle cosiddette ”piccole”, utilizzate dal popolino per gli acquisti quotidiani. La carenza di metalli preziosi, però, divenne cronica e nel 1746, in seguito a un regio editto di Carlo Emanuele III di Savoia, apparvero le prime lire di carta. Soltanto una trentina di anni fa, la penuria di monete costrinse le banche a stampare assegni dai valori minimi, da utilizzarsi al posto degli spiccioli. La situazione monetaria italiana restò piuttosto confusa almeno fino a Napoleone, che in Francia aveva coniato il franco, la prima moneta suddivisa in cento centesimi anziché in duecentoquaranta denari. In seguito alle sue vittorie in Italia, estese la stessa riforma anche nella penisola, dove fece coniare la lira che chiamò ”italica” (anche se c’era il suo volto come effigie) suddivisa in decimi e centesimi. Dopo la disfatta di Napoleone, qualche Stato provò a tornare all’antica suddivisione della lira di Carlo Magno, ma la semplicità del sistema decimale aveva conquistato tutti e non fu più abbandonata. Fra i primi stati italiani a riconoscere la comodità della riforma, il Regno Sardo, dove circolava la lira nuova di Piemonte introdotta da Vittorio Emanuele I. Con l’unificazione sotto la corona dei Savoia, la moneta diventò una sola e prese il nome di lira italiana. Le prime monete da una lira avevano l’effigie di Vittorio Emanuele II, erano in argento 900 e potevano essere coniate soltanto da quattro zecche in tutta Italia; d’argento anche le monete da 20 e 50 centesimi, mentre le monetine più piccole erano di rame. Una curiosità: nel 1865, quando l’Italia era ancora agli albori, si costituì l’Unione Monetaria Latina, antenata della nostra Unità Monetaria Europea, tra Belgio, Francia, Italia e Svizzera (più tardi s’aggiunsero anche Grecia e Spagna). Fino a dopo la Prima Guerra Mondiale, i Paesi che facevano parte della Comunità coniavano monete equivalenti, in modo tale che un pezzo da venti (lire, dracme, franchi ecc.), ad esempio, valeva ovunque 6,4516 grammi d’oro 900, aveva lo stesso valore per tutti e poteva circolare liberamente, esattamente come l’euro. In quel periodo, pochi centesimi avevano un certo valore: ne bastavano 2 per spedire una cartolina; 8 per comprare un uovo; 10 per un sigaro toscano o un biglietto del tram; 44 per un chilo di pane. Dal 1936 le monete da una lira non furono più d’argento ma di nichel, poi di ”acmonital”, una lega fatta di acciaio, cromo, nichel e vanadio (usata anche per le 50 e le 100 lire). Il valore della lira diminuì rapidamente, in particolare dopo la seconda guerra mondiale, anche a causa dell’AM lira (Allied Military Lira), emessa dalle autorità americane nel 1943. In quegli anni il pane costava 1,60 lire al chilo, 25 uova una lira, un paio di calze da donna in seta organzino (l’antenato del nylon) 18 lire. Negli anni Cinquanta furono coniate le ultime monete da una lira, diventate spiccioli di 17 millimetri di diametro, pesanti poco più di mezzo grammo. Le ultime monetine erano di ”italma”, lega poco nobile a base di alluminio e magnesio.