Gianluca Grossi, La Macchina del Tempo, n. 1 gennaio 2002 pagg. 66-69, 1 gennaio 2002
una tragedia nella tragedia quella che si sta consumando in Karakalpakstan, la regione autonoma dell’Uzbekistan popolata da quasi cinque milioni di persone
una tragedia nella tragedia quella che si sta consumando in Karakalpakstan, la regione autonoma dell’Uzbekistan popolata da quasi cinque milioni di persone. Una Chernobyl silenziosa iniziata oltre quarant’anni fa, oggi finalmente di dominio pubblico. Il lago d’Aral, quello che un tempo era considerato il quarto specchio lacustre più grande del mondo, si sta definitivamente prosciugando: si è già ridotto del 70% ed entro il 2015 potrebbe definitivamente trasformarsi in un immenso acquitrino senza vita. Per il momento solo il pesce persico e una specie di crostaceo riescono ancora a sopravvivere nelle sue acque, dove c’è il triplo di sale rispetto a prima. Il problema maggiore riguarda i suoi abitanti. La città di Muynak, per esempio, che un tempo viveva delle risorse del lago, ora si trova a ottanta chilometri dalle sue rive. Sono rimasti i figli e i nipoti di quelle migliaia e migliaia di pescatori che ogni giorno rincasavano con le loro barche zeppe di storioni, carpe e salmoni. I ”Medici senza frontiere” che occupano gli ospedali di Muynak, di Nukus e di altre zone dell’Uzbekistan e del Kazakistan, gridano alla catastrofe. da anni che portano avanti una dura battaglia per far conoscere al mondo l’immane tragedia di uomini, donne e bambini che muoiono come mosche, divorati dalle malattie: tumori alla gola, all’esofago e al fegato, allergie, anemia, tubercolosi, bronchiti e, da qualche mese (è un fatto appurato) persino peste.