Gianluca Grossi, La Macchina del Tempo, n. 1 gennaio 2002 pagg. 66-69, 1 gennaio 2002
con l’arrivo degli anni Sessanta che la realtà delle città e dei paesi situati lungo le sponde dell’Aral cambia radicalmente, quando il corso dell’Amu Darja e del Syr Darja, i due grossi fiumi che, provenendo dalle alture del Pamir, si immettono nel lago, viene irrimediabilmente deviato
con l’arrivo degli anni Sessanta che la realtà delle città e dei paesi situati lungo le sponde dell’Aral cambia radicalmente, quando il corso dell’Amu Darja e del Syr Darja, i due grossi fiumi che, provenendo dalle alture del Pamir, si immettono nel lago, viene irrimediabilmente deviato. Il motivo? Irrigare il cotone utilizzando 13.000 chilometri di canali, 12.000 chilometri di tubi e 26 grandi vasche. la fine per Muynak e l’intero Karakalpakstan. Il lago inizia a restringersi lasciandosi alle spalle navi e porti, oggi sentinelle di un paesaggio post-apocalittico. I pesticidi e i fertilizzanti fanno il resto, rendendo i terreni e l’aria della regione ogni giorno sempre più inquinati. Nel decennio successivo il ritiro del lago è un fatto assodato. Occorre in qualche modo intervenire. Diverse menti dell’Unione Sovietica si riuniscono per decidere un possibile piano d’intervento: ricavare dall’Ob e dall’Irtysh, due fiumi di portata simile a quella dell’Amu Darja e del Syr Darja a nord delle alture del Kazakistan, oltre le steppe del Chirghisi, in pieno territorio siberiano, le acque necessarie a risanare il lago. Nasce il progetto ”Sibaral” e con esso le polemiche che ne seguono; le popolazioni a ridosso dell’Ob insorgono con accanimento: che senso ha distruggere il loro ecosistema per salvaguardarne un altro già morto da un pezzo? una domanda alla quale non verrà mai data risposta. Semplicemente: il lago verrà definitivamente abbandonato a se stesso.