Gianluca Grossi, La Macchina del Tempo, n. 1 gennaio 2002 pagg. 66-69, 1 gennaio 2002
Nel frattempo continuano in gran segreto e senza tregua gli esperimenti a Vozrozhdeniye. Di questo oggi siamo assolutamente sicuri: sull’isola sono state trovate le gabbie dove venivano rinchiusi gli animali, si vedono ancora i pali telefonici su cui erano appese le cavie sottoposte ai vari test e venivano collocati i rivelatori per misurare gli agenti patogeni
Nel frattempo continuano in gran segreto e senza tregua gli esperimenti a Vozrozhdeniye. Di questo oggi siamo assolutamente sicuri: sull’isola sono state trovate le gabbie dove venivano rinchiusi gli animali, si vedono ancora i pali telefonici su cui erano appese le cavie sottoposte ai vari test e venivano collocati i rivelatori per misurare gli agenti patogeni. Un fetore micidiale, un misto di candeggina, polvere, escrementi animali, morte. Nel 1988 arriva Mikhail Gorbaciov con una nuova politica basata sulla trasparenza e sulla cordialità. Urge far sparire alcune tracce imbarazzanti, soprattutto i resti delle tonnellate di antrace prodotto nei laboratori di Sverdlovsk, una grossa città alle pendici degli Urali, 1300 chilometri a est di Mosca. Detto e fatto. Nella primavera dello stesso anno, sessantasei giganteschi contenitori in acciaio inossidabile vengono riempiti di fanghi rossi e spediti a 1600 chilometri di distanza, sull’isola di Vozrozhdeniye, dove vengono seppelliti in undici grandi pozzi. Ormai la politica del disgelo è avviata. Quando scende in campo Boris Eltsin non fa altro che emanare un editto nel quale ordina la chiusura di tutti i laboratori di Vozrozhdeniye, lo smantellamento e la decontaminazione dell’intera isola. Ma non tiene conto di un piccolo particolare: che le casse dello stato versano in pessime condizioni e non possono assolutamente sostenere un simile intervento. Risultato: Eltsin e il suo entourage non hanno altra scelta se non quella di abbandonare l’isola con tutti i suoi misteri e l’antrace in essa custodito.