Pier Paolo Pasolini, ìRagazzi di vitaî, Garzanti, 7 febbraio 2002
Una sera. «Risalirono sull’Aprilia, si lanciarono a tutta velocità verso San Giovanni, imboccarono l’Appia: dopo una mezz’ora erano in un paesello di cui non avevano visto neppure il nome, e andarono a farsi mezzolitro in un’osteria, poi corsero su e giù sempre a più di cento all’ora per quelle strade di campagna, fino a che, quasi per caso, si trovarono proprio in un posto vicino a Latina che uno di lor già conosceva
Una sera. «Risalirono sull’Aprilia, si lanciarono a tutta velocità verso San Giovanni, imboccarono l’Appia: dopo una mezz’ora erano in un paesello di cui non avevano visto neppure il nome, e andarono a farsi mezzolitro in un’osteria, poi corsero su e giù sempre a più di cento all’ora per quelle strade di campagna, fino a che, quasi per caso, si trovarono proprio in un posto vicino a Latina che uno di lor già conosceva. Era notte alta. Lasciarono la macchina sul ciglio della strada, e entrarono dentro i cortili d’un casale di campagna, dove rubarono una ventina di polli, ammazzando a revolverate il cane. Caricarono i polli sulla macchina,e parrtirono filando ai centotrenta, imboccarono un ’altra volta l’Appia, e, al trentesimo chilometro da Roma, poco prima di Marino, chissà in che modo, andarono a incassare contro la parte posteriore d’un autotreno. L’Aprilia si ridusse un mucchio di ferro contorto, con dentro mescolati insieme i corpi sanguinanti e le penne dei polli. L’unico che s’era salvato la pella era Alvaro: ma aveva perduto un braccio e era rimasto ceco».