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 2002  febbraio 08 Venerdì calendario

ABATANTUONO Diego

ABATANTUONO Diego Milano 20 maggio 1955. Attore. Tra i suoi film Regalo di Natale (Nastro d’argento 1997 come non protagonista), Puerto Escondido (Nastro 1993), Io non ho paura (Nastro 2003 non protagonista) • Padre calzolaio, la madre faceva la guardarobiera al Derby, storico cabaret di proprietà di suo zio dove iniziò a lavorare come tecnico delle luci. «[...] Mai detto da bambino: Voglio recitare. L’ho fatto. E solo perchè mio zio stava al Derby e io là facevo il tecnico delle luci. Un mestiere bellissimo, recitare, che oggi mi ha un po’ stancato, però. Non sopporto più il trucco, le prove, i vestiti, l’attenzione addosso. Forse passo anch’io alla regia, anche se mi dà ai nervi perchè lo fanno tutti [...] Il guaio del nostro cinema è che abbiamo abbandonato la tradizione. Far ridere pareva fosse peccato. Ogni giovane autore s’è sentito in dovere di fingersi intellettuale. Molti sono stati colti dalla sindrome di Kubrick e a ogni film cambiavano stile. Siamo caduti in un precipizio [...] Ho fatto cinema perchè mi piaceva la grande commedia, da Monicelli a Risi, da Comencini a Scola, ma non ho mai pensato di imitare qualcuno. I figli di Tognazzi, specie Gianmarco, dicono che somiglio un po’ al loro papà, Ugo. Qualcuno sostiene che ho dei tratti di Gassman. Certo ho il distacco dal mestiere che aveva Mastroianni, tanto che il direttore della fotografia Franco Di Giacomo sosteneva che avrei dovuto fare un film con Marcello e Michalkov perchè come loro, finito di girare, mi piace andare a bere una grappa e non pensarci più [...]» (Simonetta Robiony, ”La Stampa” 3/5/2007) • «Diego Abatantuono è attore dai molteplici registri. E dalle mille attività. Comico, inventore di una maschera tra le più amate del cinema. Drammatico, con performance di grande pregio [...] talent scout, curatore di Colorado café [...] ”Non ho mai fatto della satira politica la cifra della mia comicità. Quando facevamo il Derby a Milano, a Roma c’era il Bagaglino. Noi, a differenza loro, non abbiamo mai cavalcato la politica. Con questo non voglio dire che non si capisse come la pensavamo, ma privilegiavamo l’ironia trasversale, davamo un sapore ”ideologico’, facevamo capire la tendenza senza essere troppo espliciti. Era la nostra prerogativa, non subivamo il momento storico. Una scelta antica che ci siamo portati dietro e che ci era venuta naturale. [...] Quando ti pagano per dire sciocchezze, allora sei diventato un comico”» (Michela Tamburrino, ”La Stampa” 15/2/2008) • «Ha costruito la sua galleria di italiani. Pieni di difetti – mascalzoni, fascinosi, arrampicatori, seduttori, inadeguati, perdigiorno – ma simpatici» (Silvia Fumarola, ”Il Venerdì” 12/10/2001) • «Mia madre era la guardarobiera del Derby. Io avevo 15 anni. Si figuri, a quell’età il Derby! Era il paradiso, il paese dei balocchi, Lucignolo si sarebbe ammazzato per venir lì. Belle signore che a me sembravano straordinarie e gente allegra a volontà. In platea mi videro Arbore, la Vitti mi portarono nel cinema. [...] Ai tempi, il terrunciello era la summa di gente che vedevo tutti i giorni al Giambellino, il quartiere di Milano dove sono cresciuto. Leghisti quando Bossi era bambino, razzisti nei confronti della loro stessa razza perché credevano così di emanciparsi. Gente che pensava di viaggiare in Borsa e invece stava sempre lì» (Anna Bandettini, ”la Repubblica” 10/8/2003) • «L’italiano ha tendenza a essere cialtrone ma vi sono molte sfumature […] Anche nella commedia italiana il protagonista è sempre stato il cialtrone. Certo il cialtrone è un ruolo che mi diverte interpretare, ma non lo sopporto nella vita. L’italiano medio forse è cialtrone, ma più che altro è impaurito. L’italiano medio ha buoni sentimenti, ma non ha coraggio. […] Il loffio non mi piace, non mi corrisponde, non è dinamico. L’immagine del pallone sgonfiato. Il cialtrone mi diverte, il loffio no. […] A fare gli eroi sono bravi gli americani. Interpreterei volentieri Di Pietro se sapessi che ha un sacco di problemi. Preferisco però che lo faccia Franco Nero» (Alain Elkann, ”La Stampa” 21/9/1992) • «Sono insoddisfatto. Veramente se ci penso non posso rimproverarmi niente. Con gli altri non sono male, ma nei miei confronti sono un po’ una merda […] Potrei fare di più per me stesso, si può sempre fare di più. […] Faccio il mestiere più bello del mondo, ma anch’io sono ossessionato dal lavoro. Sono nato povero, intorno a me hanno sempre lavorato tutti. Mi sentirei in colpa se perdessi tempo. […] Oggi sono abituato a vivere con una certà disponibilità di mezzi. Per il resto porto le scarpe di una volta. Potrei comprarmi gli orologi che mi piacciono, ma ha senso? Alla fine uso sempre lo stesso. La verità è che faccio felici ristoratori e albergatori. […] Ho cominciato col cabaret al Derby, avevo quindici anni: facevo il tecnico delle luci. Poi sono salito sul palco, e alla fine è arrivato il cinema. […] Chi devo ringraziare? I miei genitori, le persone che mi hanno sopportato: il produttore Maurizio Totti, ma forse anche lui deve ringraziare me. difficile dirlo: Totò deve ringraziare Fabrizi, Sordi il grande Risi, io devo dire grazie a Salvatores, ma anche a Pupi Avati. A tutti. Forse, in generale, bisogna ringraziare chi ti permette di vivere, di essere te stesso. […] I ruoli che faccio più volentieri sono quelli della commedia, ma se ne fanno così poche. Mi piacciono le storie che fanno sorridere, con un fondo di malinconia. [...] Diciamo che preferisco i ruoli brillanti. La critica confonde spesso intensità e noia. Ti addormenti così volentieri che almeno potrebbero avvisarti: la Tavor presenta il film…» (Silvia Fumarola, ”Il Venerdì” 12/10/2001) • «Maurizio Totti l’ho conosciuto quando cercavo un agente e avevo bisogno di tre cose: onestà, ambizione, intelligenza. Lui le aveva, è stato prima agente, poi produttore, poi io, lui e Gabriele siamo diventati soci, praticamente una trinità. […] Nel bene e nel male il cinema è un gioco. Uno può fare Blade runner o quello che si vuole, ma rimane un gioco: se al pubblico piace, questo è il miglior risultato possibile, quello che conta. Le cose serie sono altre, i figli, l’amore, gli amici, i drammi e le gioie quotidiane: la vita» (Carla Reschia, ”Specchio”21/2/1998) • tifosissimo del Milan, numerose le sue partecipazioni alla trasmissione Quelli che il calcio. «Tre figli, due matrimoni, una Volvo bianca station Wagon penultimo modello, quattro case (Milano zona San Siro, Riccione, Lucca centro e Lucca collina), 200 alberi di ulivo (’fare l’olio costa un capitale”)» (Michele Farina, ”Sette” n. 49/2000) • «Potrei permettermi di vivere un anno senza lavorare […] Pago il 51% di tasse. E ho tre famiglie da mantenere: moglie e due figli, ex moglie e una figlia, genitori […] Mantengo la tribù, compro la macchina alla mia tata perché è scassata […] Vivo di notte […] Mai derubato in vita mia […] I balordi bisogna saperli prendere. Certo, poi va a fortuna […] Fatto a botte? Due volte. Con uno che mi ha preso a pugni perché diceva che gli avevo fregato la donna (ma io non lo sapevo). E tanti anni fa con un portiere che aveva tirato un ceffone a un bambino senza motivo […] Berlusconi? Lo stimo, mai votato per lui”» (Michele Farina, ”Sette” n. 49/2000). In tv visto ne Il giudice Mastrangelo: «[...] certi duetti tra Abatantuono e Catania valgono la faticosa visione di tutto il resto e sono tra i pochissimi esempi eredi di certe gag della commedia all’italiana di una volta [...]» (Antonio Dipollina, ”la Repubblica” 18/5/2007) • Mai pensato di fare il regista? «Sì, ma la mattina è il primo ad alzarsi. Meglio di no. [...]» (Silvia Fumarola, ”la Repubblica” 8/12/2005) • «[...] Una ex moglie, Rita Rabassini, sposata nel 1984, unione durata soli tre anni, da cui ha avuto la primogenita Marta e una compagna, Giulia Begnotti (’Non ci siamo mai sposati, potremmo farlo in futuro proprio per tutelare i nostri figli”), che gli ha dato Marco [...] e Matteo [...]. Un ruolo da patriarca (anche negli spot tv di una compagnia telefonica), che [...] interpreta volentieri: ”Tra persone intelligenti non è difficile andare d’accordo. Con la mia ex moglie il rapporto è ottimo, così come con la sua famiglia e quella della mia attuale compagna. Perché oltre al partner intelligente, ci vogliono anche suoceri, zii, eccetera con la testa. Se domani vado sotto un treno non posso immaginare i miei figli nelle mani di una banda di imbecilli” [...] Abatantuono è orgoglioso dei ”rapporti sereni” che legano i suoi due nuclei familiari: ”Siamo stati bravi e fortunati. Per stare vicino a Marta durante l’adolescenza, per farla crescere insieme ai ragazzi, con Giulia per sei anni abbiamo vissuto a Lucca dove abitano mia figlia e sua madre. [...]» (Roberto Rizzo, ”Corriere della Sera” 18/8/2008) • «Il matrimonio è una corsa, quando l’hai già fatta, non ti interessa quasi più. Se invece ti piazzi ai blocchi di partenza, se vai in surplace, se vivi con l’idea che il bello deve ancora succedere, anzi, sei tu a doverlo far accadere, allora tutto funziona meglio, molto meglio. Io mi sono sposato a trent’anni. Ci tenevano soprattutto i miei suoceri, ai quali volevo un gran bene e che mi piaceva fare contenti. E poi, nonostante una figlia bellissima, Marta, è finita. Ero troppo giovane? Avevo fatto la mia corsa troppo velocemente? Vai a sapere. Io non ho ancora capito quanto valgo nei rapporti con le donne. Con Giulia, la madre di Matteo, il mio secondogenito e di Marco, cerco di restare in surplace. una storia vecchia quanto il mondo, mica l’ho inventata io: meglio il sabato della domenica, l’aperitivo invece dell’abbuffata. Ecco, il matrimonio dovrebbe essere proprio questo: un’eterna serie d’aperitivi. Che non ti tolgano mai la fame» (Patrizia Carrano, ”Sette” n. 42/1998) • «Una volta c’erano gli sceneggiatori, e oggi gli sceneggiatori fanno i registi; c’erano i registi e oggi i registi fanno gli autori. Insomma non c’è più nessuno che scriva per il cinema. E chi una volta avrebbe lavorato assieme ad altri per far nascere un’opera corale, oggi la vuol fare tutto da solo, così chi avrebbe potuto essere bravo diventa normale. In questa normalità diventano determinanti i personaggi del cabaret, perché il cabaret porta linfa vitale al cinema» (Brunella Torresin, ”la Repubblica” 12/7/2002) • «[...] Non riesco a mettermi a dieta. Ci provo, ogni tanto faccio dello sport. Il giorno mi salvo. La sera sbraco. Eh sì, torno a casa, magari c’è una bella cena e le pare che non bevo vino? O che rinunci a un bel piatto di pasta col sugo. Mica siamo dei santi, su [...] Non bisogna essere scienziati per sapere come bisogna mangiare. Poco sale, no ai fritti, poca pasta e poco pane, attenti alla carne, sì al pesce. Insomma, io ho fallito.[...] Mi piacerebbe dimagrire, non per l’aspetto fisico ma per la salute, perché so bene che i chili di troppo non fanno bene [...]» (M. D. B., ”Corriere della Sera” 12/3/2008). «[...] Il governo dovrebbe fare una politica per sostenere le auto elettriche, invece continuiamo a produrre quelle super inquinanti, perché l’industria va sostenuta e le città scoppiano. [...] Facessi il sindaco chiederei a tutti di comprare solo auto elettriche, io la mia l’ho cambiata [...]». (s.f., ”la Repubblica” 5/5/2007).