Varie, 8 febbraio 2002
ABBADO
ABBADO Claudio Milano 26 giugno 1933. Direttore d’orchestra. Terzo figlio del violinista Michelangelo (Alba 1900’Gardone Riviera 1979) • «Entrare alla Scala per la prima volta a sette anni. Arrampicarsi fino al loggione e da lassù, circondato dall’immensità di quel teatro sporgersi fino a vedere ”Antonio Guarnieri, un uomo piccolissimo che stava facendo meravigliosamente suonare l’orchestra”. I bambini sono capaci di sentimenti e decisioni assolute; spesso restano desideri, o diventano frustrazioni, talvolta si realizzano. Quel giorno, Claudio Abbado decise di diventare direttore […] Gli studi a Vienna con Hans Swarowsky, il debutto alla Scala nel 1960, la vittoria al Concorso Mitropoulos di New York nel 1963, l’invito di Karajan per un concerto a Salisburgo, dove Abbado sceglie una carta difficile, la Seconda Sinfonia di Gustav Mahler. Nel 1968 è nominato direttore principale dell’Orchestra della Scala: vi resterà, fondando anche l’Orchestra filarmonica della Scala, fino al 1986, quando diventa direttore musicale dell’Opera di Vienna. Nella capitale austriaca, crea Wien Modern, un festival dedicato alla creazione contemporanea, una passione costante della sua attività direttoriale. Tre anni dopo, i Berliner Philarmoniker lo chiamano a dirgere un’orchestra guidata, prima di lui, da Wilhelm Furtwaengler e Herbert Von Karajan» (Sandro Cappelletto, ”Specchio” 10/5/1997) • «A 7 anni, ascoltando alla Scala i Notturni di Debussy, scoprii il mio sogno, che non era di fare il direttore ma di poter un giorno ricreare quella magia. Studiavo musica ed ero così entusiasta da scrivere sui muri ”Viva Bartok”. La cosa mise in allarme la Gestapo, che cercava qualcuno con un nome analogo. Vennero a casa mia e io bimbetto dovetti spiegare l’equivoco mostrando loro la partitura. Qualcosa di analogo accadde molti anni dopo: quand’ero direttore musicale della Scala qualcuno a cui le mie idee innovative non andavano a genio, mi denunciò sostenendo che avevo conti all’estero. Per due volte la finanza venne a perquisire tutto. Invano. Un giorno mi convocarono: abbiamo trovato i conti, dissero. Sono a Kassel, in Germania. E tirarono fuori una lettera su cui erano notati K. 136, K. 642... Per loro la prova. Per me il catalogo Koechel delle opere di Mozart. Tirai fuori i dischi con in copertina proprio quei numeri. Sono i conti di Mozart non i miei, spiegai […] Tra i 10 e i 20 anni, l’età dell’ascolto ma anche della lettura divorante dei grandi romanzi russi. Tra i 20 e i 30 il momento della scelta. Difficile perché a quell’età uno vorrebbe tutto. Io suonavo, componevo, cantavo persino. Con Zubin Mehta ci infilavamo nel coro del Musikverein di Vienna per ascoltare le prove di Bruno Walter e di Karajan, allora quasi sempre chiuse. In quel periodo mi sono anche sposato, sono nati i miei due primi figli. Tra i 30 e i 40, la Scala, dove ho aperto le porte a molti compositori contemporanei, da Nono a Stockhausen, Berio, Bussotti, Penderecky. E tante prime esecuzioni, Schubert, Bruckner, la Terza di Mahler... Aprire vie nuove mi ha sempre entusiasmato. Ho cercato di farlo anche negli anni successivi, a Vienna, a Londra a Berlino» (’Corriere della Sera” 25/6/2003) • «’Nella musica ci sono nato. Mio padre Michelangelo suonava in trio con Carlo Vidusso e Gilberto Crepax: ho bevuto col latte di mia madre i trii di Schubert, Brahms e Beethoven”. […] Sembra che sua madre, scrittrice di favole, di magia se ne intendesse. ”Era una vera incantatrice, fantasiosa e generosissima. Sapeva tante novelle siciliane e persiane, imparate da suo padre, Guglielmo Savagnone, traduttore di storie della Persia antica e docente universitario a Palermo. Un grande saggio, morto a 96 anni e lucido fino alla fine. Quand’ero piccolo veniva in montagna con noi, in Val d’Aosta, e passeggiando mi diceva cose talmente belle e profonde che ancora me le porto dentro. Aveva studiato a Lipsia, imparando il tedesco e laureandosi in lingue antiche. stato lui a farmi capire quant’è importante assimilare altre culture. Mio padre, piemontese, conobbe sua figlia, cioè mia madre, quando si trasferì a Palermo per insegnare violino al Conservatorio”. […] Conobbe anche Toscanini? ”Una sera, a Milano, invitò a casa sua l’orchestra da camera di mio padre, dove da ragazzo suonavo e dirigevo. Ricordo che mi fissava con occhi come coltelli, azzurrissimi. Alla fine mi disse: avrai un grande successo”. Altri incontri determinanti? ”Votto, con cui studiai a Milano: sommo conoscitore delle opere italiane. Giulini, che ammiro molto anche umanamente. E poi gli amici. Guido Crepax, figlio di Gilberto, che suonava con mio padre. Siamo cresciuti insieme, e del nostro gruppo facevano parte anche Dario Fo e Emilio Tadini. Con Gigi Nono e Maurizio Pollini ho condiviso idee, progetti, avventure. E a Tarkovskij mi ha legato una comunicazione forte e silenziosa. Un altro grande amico è stato Serkin: anche tra i giovanissimi, il più giovane di spirito era sempre lui […] Nei miei dodici anni di direzione l’orchestra dei Berliner Philharmoniker si è molto rinnovata, diventando una delle più giovani al mondo, formata dai migliori musicisti d’Europa. Al mio arrivo si pose il problema di una certa uniformità di suono ereditata da Karajan. Grandissima personalità. Ma quel suo suono caldo e bellissimo, ideale per la musica romantica, finiva per riguardare tutto, dal barocco al contemporaneo. Oggi il repertorio si è ampliato, accogliendo più musica nuova e da camera. E Simon Rattle, che ha preso il mio posto, continua lo stesso percorso. […] Quando, dopo l’intervento chirurgico, sono tornato a dirigere, ho detto loro: la mia migliore medicina è fare musica con voi. Si sono sentiti toccati, si è stabilito un rapporto ancora più profondo”» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 25/6/2003) • «Tornerà mai a Milano? Alla Scala? Molti nomi illustri gli hanno rivolto l’invito. […] Del resto, ogni volta che si è riavvicinato a Milano, la città dove fino all’86 è stato direttore musicale della Scala, le reazioni sono state scomposte. Magnifica accoglienza nel ”93, quando venne in tournée con i Berliner. Clamorosa rottura nel ”94 con il sovrintendente Carlo Fontana e, indirettamente, con il suo successore Riccardo Muti. Motivo: dopo aver preso accordi per portare in scena l’Elektra di Richard Strauss, si sentì dire che il costo dell’allestimento era troppo alto. Risultato: il maestro giurò di non rimettere più bacchetta alla Scala. Nel dicembre ”98 il nuovo Piccolo Teatro ha in cartellone il Don Giovanni con la regia di Peter Brook che il maestro milanese ha allestito per il festival di Aix-en-Provence. La notizia, non vera, che Abbado in persona dirigerà una o due rappresentazioni suscita emozioni in Comune e alla Scala: non ci possono essere due teatri musicali in competizione! […] Il teatro milanese gli ha scritto più volte perché tornasse a esibirsi nella sua città. L’invito non è mai stato raccolto. Forse Milano gli appariva ostile. Il ”Corriere della Sera”, per penna di Paolo Isotta, non lo amava. Recensendo il Tristano e Isotta rappresentato a Salisburgo nel ”99, parlava di ”decadenza palese”. Anni prima, nell’agosto del ”90, aveva scritto: ”Per anni (e s’intende innanzitutto i famigerati Settanta, con le loro code non ancora estinte) la figura di Abbado, per singolare sincretismo, s’identificò con lo stesso mito antifascista…” […] Non si perdonano ad Abbado le radici di sinistra? Nel bel libro Musica sopra Berlino (Bompiani) la musicologa Lidia Bramani interroga il maestro sul suo impegno politico. La risposta è spiazzante: ”Semmai ha peso il mio lavoro, come quello di tutti, ed è lì che vorrei riuscire a esprimere la mia visione del mondo”» (Manuela Grassi, ”Panorama” 8/3/2001) • «Racconta […] apertamente della grave malattia […]. ”Un cancro”, spiega senza enfasi. ”Mi hanno operato allo stomaco e me ne hanno tolto una buona parte. Di conseguenza sono costretto a una dieta ferrea”. […] Avessi dovuto seguire i consigli dei dottori […] non sarei potuto partire per la tournée in Giappone con i Berliner e il Tristano. Me l’avevano tassativamente proibito. Ma io sentivo che era giusto andare. E mi ha fatto bene. Da quel momento ho cominciato a sentirmi meglio. […] Ho sofferto e ho lottato con tutte le mie forze. Come sempre però dal male può nascere qualcosa di buono. A cominciare dai piccoli piaceri del palato, acuito e sensibilizzato come non mai dalla necessità di dosare e selezionare il cibo, fino alla maggiore attenzione per le piccole cose quotidiane. E poi le grandi gioie: la sicurezza degli affetti, la scoperta di un nuovo legame con la mia orchestra”» (’Corriere della Sera”, 6/3/2001) • «Ho più volte sottolineato come in Italia i giovani studino musica pensando di diventare grandi solisti, con il rischio di andare incontro a delusioni. Invece, a Berlino, Vienna, Amsterdam o Londra, dove la preparazione culturale è diversa, il sogno degli studenti è di entrare nelle orchestre locali […] Dal lavoro collettivo nasce infatti il risultato davvero alto di un’esecuzione musicale» (’la primavera di MicroMega”, n. 5/2000) • «[...] Spiega l’architetto Gabriele, fratello minore del direttore d’orchestra Claudio: ”In famiglia abbiamo uno stile riservato. Claudio è quello che, col passare del tempo, ha accentuato di più quest’atteggiamento. Per avvicinarlo - proporgli un progetto, fargli dirigere un concerto, organizzare a suo nome un concorso – c’è anche chi si rivolge a me. Ma non mi verrebbe mai in mente di importunarlo” [...] Claudio è un uomo che ascolta e legge molto, ma è abituato sempre più a comunicare tramite la musica. Nella sua carriera pluridecennale [...] è stato alla guida di orchestre e istituzioni musicali di massimo prestigio: Scala, Opera di Vienna, i formidabili Berliner Philharmoniker. Ma non gli importa di essere considerato una leggenda vivente, un santone della musica, un artista straordinario. Non s’impone, non pontifica, non va mai in tivù, detesta l’appellativo di ”Maestro”. umilmente inarrivabile. E di pochissime parole. Persino nelle prove con i musicisti le spiegazioni verbali sono ridotte al minimo. Quando si pronuncia lo fa soprattutto in direzione della musica, della letteratura e dell’ambiente. La prima è una vocazione e un codice familiare [...] Quanto alla salvaguardia del pianeta, per Claudio è un interesse così fondamentale che non ne prescinde mai nei suoi discorsi. Dal lindo mare della Sardegna - il milanese Abbado ha scelto di vivere vicino ad Alghero, in una casa protesa su una costa cristallina – s’indigna per ”l’aria divenuta irrespirabile a Milano” e loda ”cittadine come Arezzo, che hanno avviato sistemi energetici alternativi”. Accusa ”le aberrazioni di un’economia mondiale basata sull’uso del petrolio” e la strategia di ”coprire con menzogne la possibilità di sistemi economici basati su energie alternative”. Sostiene con placido furore che ”la questione della conservazione ambientale è oggi una questione morale”. Porta a esempio piccole città come Brescia, Reggio Emilia e Ferrara, dove ”i riscaldamenti attingono da sistemi diversi, tra cui pozzi naturali di acqua calda”. Riferisce costernato (ma a modo suo, cioè con calma buddista) che ”dal 1990 le immissioni nell’atmosfera del CO2, il principale gas serra, sono aumentate del 25 per cento”, e che ”il problema della correlazione fra surriscaldamento e i gas serra d’origine antropica, cioè prodotti dall’uomo, non è scientifico ma politico”. [...] si torna alla storia dei fratelli Abbado. La parola a Gabriele: ”Siamo quattro. Marcello, pianista, è il maggiore. A Milano è stato per 25 anni il direttore del Conservatorio. Luciana è la seconda. Ha lavorato a lungo in Casa Ricordi e ha sposato Carlo Pestalozza. Poi siamo nati Claudio e io, a un anno di distanza. I nostri fratelli maggiori sono stati un po’ come secondi genitori. Marcello, a noi piccoli, dava consigli negli studi musicali, Luciana ci aiutava con la matematica. E c’era sempre Guido, in pratica un altro fratello [...] Guido Crepax, il grande disegnatore, figlio di Gilberto, violoncellista del trio in cui suonava mio padre. I Crepax abitavano vicino a casa nostra e le madri stavano spesso insieme, fin da quando erano incinte di Claudio, che nacque il 26 giugno, e di Guido, nato il 7 luglio. Noi tre bambini eravamo inseparabili. Per me Claudio era un mito, lo seguivo come un’ombra. Lui insisteva perché mi diversificassi: siccome teneva per il Milan mi chiese di tifare per l’Inter. Una volta cresciuti mio fratello volò via nella musica, mentre io scelsi l’architettura”. La cosa a cui Claudio tiene di più, nei resoconti dei trascorsi comuni, è il ”Grande Gioco delle Battaglie”: ”Le organizzavamo con Guido, che disegnava e realizzava i pezzi e i campi quadrettati su cui si muovevano navi, armamenti, soldati e altri personaggi, sorretti da basi di lamine di piombo. Stabilivamo le regole di movimento, che erano la cosa più importante oltre alla musica, sempre in sottofondo. A volte c’era il jazz, molto amato da Guido, che sapeva imitare il suono della tromba accostando le mani alla bocca e ”vocalizzando’ al modo di Armstrong, Gillespie e Parker. Una delle battaglie predilette era quella sul lago gelato tra cavalieri teutonici e russi guidati da Alexandr Nevskij, e come nel film di Eisenstein la nostra colonna sonora era la Cantata Alexandr Nevskij di Prokofiev. Ciascuna delle due schiere era formata da amici. Partecipavano Luisa, futura moglie di Guido, i nostri compagni di scuola e poi dell’università, e gli amici di Franco, fratello maggiore di Guido. C’erano Emilio Tadini, Enzo Belli Nicoletti e altri: giornalisti, musicisti, architetti, artisti tra cui Dario Fo. Mezza Milano” [...]» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 4/8/2008) • «[...] è l’unico che abbia un club, diciamo così, di tifosi: come le squadre di calcio. Si chiama Cai ( Club abbadiani itineranti) e fu costituito a Milano il 7 dicembre 1995. Il Cai è presieduto da Attilia Giuliani e raccoglie quattrocento soci che non si perdono un concerto o un’opera diretti dal loro campione. [...]» (Mauro Balestrazzi, ”Corriere della Sera” 26/6/2008) • «[...] Claudio Magris, a proposito dell’amico Claudio Abbado, scrisse che era un uomo di ”leggerezza mozartiana”. In effetti Abbado appare leggerissimo: nel fisico sottile, nella voce discreta, nel movimento delle mani. Mani sensibili, abituate a condurre, vibrare, disegnare il tempo, riempire di immagini la trasparenza dello spazio. Ma in questo musicista straordinario c’è dell’altro: negli anni ha conquistato una qualità impalpabile di leggerezza interna, fatta di quiete filosofica, vocazione all’ironia, rapporto distaccato e sorridente col successo. Riflessi di una levità, come s’è detto, ”mozartiana”. [...] Questo signore calmo e lieve, molto riservato, che parla poco e ascolta molto (’è la musica che insegna ad ascoltare, se si ascolta s’impara, e così dovrebbe essere in ogni campo: se i politici conoscessero la musica tutto funzionerebbe meglio”), non è solo un eccelso direttore d’orchestra. un mito musicale del nostro tempo. Però non reca segni di nevrosi da star-system. [...] ”Quand’ero ragazzo sognavo spesso di volare. Voli alti, stupendi. Era il mio sogno ricorrente. L’ho realizzato da adulto grazie alla musica. Con i musicisti delle orchestre che dirigo - e con molti di loro lavoro da tanti anni - mi succede spesso di volare. Anche per questo ho lavorato tanto di frequente con i giovani, che sanno fidarsi, lanciarsi, volare con me”. Abbado è un forgiatore di orchestre, con esiti smaglianti: a fine anni Settanta fondò la European Commmunity Youth Orchestra, a metà anni Ottanta creò la Gustav Mahler Jugendorchester, da cui costituì la Mahler Chamber Orchestra. Nel 2003 plasmò la Lucerne Festival Orchestra [...] In più il glorioso direttore ha uno spettacolare fiuto da talent-scout. stato il primo, tanto per dirne una, a segnalare come futuri astri del podio, quand’erano poco più che ragazzini, l’inglese Daniel Harding e il venezuelano Gustavo Dudamel: ”Eppure non li avevo mai sentiti dirigere. Ho capito la loro intelligenza parlando con loro. Ho sentito due forti personalità, ho compreso che avevano davvero qualcosa da dire”. Nel 2004, a Bologna, è nata una sua ennesima creatura, l’Orchestra Mozart: quarantacinque elementi, con giovani professionisti a fianco di solisti affermati. [...] Sono stati i Berliner, probabilmente, la sua orchestra ”d’elezione”. Per dodici anni, fino al 2002, con entusiasmo ed energia, Abbado, giunto in Germania già carico di allori, avendo alle spalle esperienze di direttore musicale alla Scala e alla Staatsoper di Vienna, si tuffò anima e corpo nello spirito della cultura berlinese e nel rimodellamento della fisionomia dell’orchestra guidata a lungo da Karajan: ”Berlino è una città civile, ricca di verde e acqua: laghi, fiumi, canali. Ogni volta che vi torno, atterrando con l’aereo, ho la sensazione di scendere in un bosco immenso. La gente vive nel verde, e il verde si riflette nella loro vita. Piena di cultura e musei, è una città che conta su un pubblico musicalmente preparato. Vi ho potuto realizzare stagioni a tema e programmi interdisciplinari, basati sull’intreccio tra musica, teatro, cinema, letteratura e arti visive. E l’orchestra dei Berliner ha ampliato il suo repertorio e si è rinnovata, diventando una delle formazioni più giovani del mondo”. Quando, nel febbraio del ”98, Abbado annuncia ai berlinesi di voler lasciare il prestigioso incarico nel 2002, sembra aver messo a fuoco una sorta di una premonizione inconscia: da lì a qualche mese scoprirà di avere un cancro allo stomaco. ”Pensavo che fosse arrivato il momento. Considero tutto ciò che è venuto dopo un regalo”. Dice che è la musica ad averlo guarito. [...] ”Mia madre era palermitana, mio padre era un piemontese di origine araba. Il mio cognome proviene da Mohamed Abbad, principe di Siviglia nel 1040. Nel giardino dell’Alcazar c’è una colonna bianca dov’è impresso il nome. Quando ci sono andato per la prima volta mi sembrava d’esserci già stato, riconoscevo i luoghi, mi ci ritrovavo come se ci fossi nato [...] Credo che siano tante le cose che non si possono spiegare. Non credo nella reincarnazione ma in questa vita, adesso. Credo che la morte faccia parte della vita. Le abbiamo dato quel nome: morte, ma lei è vita, solo un aspetto della nostra esistenza”» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 8/6/2008).